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L’azienda Roma e De Rossi

Da una parte il calciatore, la bandiera, il capitano. Dall’altra un amministratore delegato, un bilancio, un’azienda. In mezzo, i tifosi. Che sono anche biglietti, abbonamenti alle pay tv e merchandising. In una sintesi poco romantica, un asset di quella stessa azienda. Raccontare il divorzio tra Daniele De Rossi e l’As Roma vuol dire anche fare i conti con una scelta che ha evidenti implicazioni economiche. La contestazione dei tifosi, già iniziata e destinata a durare nel tempo, non è solo un fattore passionale. Il disorientamento, la disaffezione, il potenziale distacco dei clienti da un’azienda, come la società ha scelto di porsi anche durante la conferenza stampa che ha seguito l’annuncio, è anche un fattore strategico. Proprio in termini aziendali.

Nel caso specifico, l’azienda Roma rischia di perdere i suoi clienti, i tifosi, a causa di una decisione che potrebbe rivelarsi sbagliata non solo da un punto di vista tecnico e simbolico ma anche dal punto di vista del bilancio. Risparmia un ingaggio e potrebbe perdere molto altro. E se il tifoso non capisce il senso di un’operazione cinica, vissuta come un tradimento alla propria storia, anche l’analista che guarda al conto economico esprime il dubbio che si potesse percorrere una strada meno rischiosa.

L’altro tema rilevante, in termini economici, è la decisione a distanza rispetto a un tema che risente fortemente dell’ambiente in cui la società, l’azienda, opera. Ha deciso il presidente James Pallotta, da Boston, sentito il consulente Franco Baldini, da Londra. Il resto del management in Italia, a Roma, non ha potuto far altro che prendere atto e comunicare a Daniele De Rossi, il capitano e la bandiera, la fine di un rapporto di lavoro. Una procedura che, con le stesse modalità, non avrebbe adottato neanche una multinazionale con la propria consociata nazionale. Si parla di ‘local expertise’, di conoscenza del territorio, di relazioni con i propri stakeholders quando si deve spiegare che le decisioni non possono essere calate dall’alto. Anche perché si hanno buone probabilità che siano controproducenti.

Il racconto del caso De Rossi-Roma, allora, non si può fermare alla rabbia dei tifosi, agli insulti a Pallotta e alla retorica sul calcio che cambia. Deve andare oltre. E registrare che l’azienda Roma e il suo presidente hanno fatto una scelta che potrebbe rilevarsi anche dannosa per le proprie casse.

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