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Harry Potter, capolavoro di pr

harry potter

L’epopea di Harry Potter e della sua autrice, la scrittrice britannica J. K. Rowling, è tutta una questione di numeri.

12, come le case editrici poco lungimiranti che hanno rigettato il manoscritto di “Harry Potter e la pietra filosofale”, poi saggiamente acquistato da Bloomsbury Publishing e diventato il caso letterario più eclatante degli ultimi decenni, forse del secolo: il primo volume della saga è il quinto libro più letto di sempre, dietro soltanto alla Bibbia e capolavori del calibro di Don Chisciotte.

450 milioni, come il numero complessivo di copie che i sette libri hanno venduto ad ogni latitudine del globo. In occasione del ventennale dall’esordio nelle librerie (26 giugno 1997), alcuni esperti hanno calcolato che se messe in fila completerebbero per ben 16 volte il giro dell’equatore.

Ecco un altro numero, l’ennesimo di questa storia nella storia: 25. È l’età di J. K. Rowling quando, seduta sui sedili di un treno per Manchester, comincia a delineare nella sua immaginazione la figura di un maghetto occhialuto che in pochi anni si trasformerà in un idolo positivo venerato dai teenager di tutto il mondo e apprezzato anche dai genitori, senza limiti di età.

Ma la strada che porterà Joanne a coronare il suo sogno di diventare scrittrice, coltivato fin da piccola nella cittadina di Yate, è molto travagliata.

Se la fantasia non è mai mancata, lo stesso vale per i problemi. L’anno in cui la celebratissima serie inizia a prendere forma coincide con la morte dell’adorata madre Anne, malata di sclerosi multipla già da dieci anni. Dopo l’università e il trasferimento a Londra, ad attendere J. K. Rowling c’è un impiego da ricercatrice e segretaria bilingue per Amnesty International. Durante le pause pranzo Harry Potter diventa sempre più concreto così come gli altri personaggi secondari, ammesso che si possano definire tali.

Per creare il rosso Ron Weasley, Albus Silente e Severus Piton attinge direttamente dalla propria esperienza personale, plasmando rispettivamente i personaggi sul migliore amico, il presidente saggio e generoso delle scuole elementari e il professore di biologia, detestato tanto dalla scrittrice quanto da Harry.

Il successivo trasferimento in Portogallo per insegnare la lingua inglese segnerà l’inizio del periodo più cupo, aggravato da un matrimonio finito male, l’arrivo a Edimburgo a 29 anni, povera, senza lavoro e per giunta con una figlia a carico. Per anni vivrà grazie ai sussidi statali sorprendendosi ogni mattina, come lei stessa dichiarerà, di vedere la bambina “ancora viva”. L’antidoto alla sua depressione, incarnata nella saga dalla lugubre figura dei dissennatori, sarà proprio quella storia che ha portato avanti con ossessione nonostante le avversità.

Nel 1995 il primo libro è pronto. L’incontro con Christopher Little risulterà cruciale: l’agente letterario accetta di occuparsi di Harry Potter e propone la saga alle maggiori case editrici del Paese, che rifiutano in blocco. Bisognerà attendere due anni, il 1997, prima che un editore all’epoca di modeste dimensioni – Bloomsbury Publishing – accetti il manoscritto e lo dia alle stampe. Il successo è inimmaginabile, travolgente.

“Harry Potter e la pietra filosofale” viene tradotto in 75 lingue e diventa un oggetto di culto, attirando in breve tempo le attenzioni di Warner Bros che ne ricaverà una serie di film colossal da record d’incassi. Nel 2006 Forbes inserisce ufficialmente J. K. Rowling nel ristrettissimo cerchio dei miliardari eleggendola sul podio delle donne più ricche d’Inghilterra, seconda soltanto alla regina Elisabetta II.

Pur essendo la prima persona a riuscirsi con la sola scrittura di libri, questa non è certo l’unica magia che gravita attorno al mago più famoso del mondo e alla sua creatrice.

Dietro ad un successo così sensazionale da segnare un’epoca c’è una strategia di public relations molto avanzata, che ha dimostrato come una fantasia pari a quella di J. K. Rowling possa sposarsi alla perfezione con un’attività promozionale su scala planetaria. Sì, perché Harry Potter non è soltanto un must letterario e cinematografico, ma anche un capolavoro in materia di pubbliche relazioni.

Nonostante gli enormi budget dispiegati per la pubblicità sui media, una parte fondamentale del buzz creato attorno alla saga è opera dell’ingegno della stessa scrittrice.

Un esempio? In vista dell’uscita del quarto capitolo “Harry Potter e il calice di fuoco”, J. K. Rowling ha sfruttato al meglio il suo seguitissimo blog – intuizione tutt’altro che comune nel 2000 – annunciando il suo pubblico che un personaggio del libro sarebbe morto. Il resto è passato alla storia come Pottermania: una gara mondiale di speculazioni per indovinarne il nome rincarata da falsi indizi e messaggi ambigui lanciati dalla creatrice, l’unica a conoscere la verità.

Per ipnotizzare la propria audience a J. K. Rowling è bastato un blog, costantemente monitorato dai fan della serie, sapientemente utilizzato come geniale integrazione tra advertising tradizionale e pubbliche relazioni più naturali, tutte basate sull’abilità della scrittrice di dire e non dire, sottintendere e poi smentire sino a far decollare gli incassi in libreria.

Una strategia molto apprezzata anche dai media, mai sovrastati dall’autopromozione ma sempre partecipi e intrigati dal modo di fare elusivo che ha reso ogni intervallo tra un libro e l’altro un vero e proprio evento mondiale.

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