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Rula Jebreal, la forza delle parole

Rula Jebreal ama le parole.

Durante i suoi 46 anni se ne è servita come di un balsamo che lenisce le cicatrici di un passato avvolto dal dolore, trasformandole prima in un atto di resistenza umana e poi in una professione – quella di giornalista internazionale esperta di Medio Oriente e scrittrice – per la quale è oggi conosciuta in tutto il mondo.

Le sue parole, come quelle racchiuse nel monologo che ha segnato il momento più toccante di tutto il Festival di Sanremo, hanno radici lontane, lontanissime.

Nascono insieme a lei ad Haifa, città israeliana simbolo della convivenza pacifica tra etnie, in un’infanzia trascorsa in orfanotrofio con centinaia di altre bambine, quando anche la sera diventa un’occasione per esorcizzare la paura e raccontarsi storie così tristi da dissipare il sonno, eppure vere: le storie delle proprie genitrici, stuprate e uccise.

Un destino toccato in sorte anche alla madre di Rula, vittima di abusi sessuali e che decide togliersi la vita quando la giornalista italo-israeliana aveva soltanto 5 anni: “si è suicidata dandosi fuoco; il suo corpo era qualcosa di cui voleva liberarsi, era stato il luogo della sua tortura. Brutalizzata e stuprata due volte”.

Anche suo padre, l’imam di origini nigeriane che nel 1991 ha portato Rula e sua sorella Rania in un orfanotrofio ad est di Gerusalemme, morirà pochi anni dopo a causa di un cancro.

Come per tanti, l’Europa e in particolare l’Italia rappresentano per la bella giornalista palestinese una terra di speranza piena di promesse, nel suo caso tutte mantenute.

Rula arriva a Bologna con una borsa di studio per un corso universitario di fisioterapia.

L’approdo italiano rappresenta una doppia rinascita: da un lato l’incontro con il famoso scultore contemporaneo Davide Rivalta da cui nascerà la figlia Miral, dall’altro la forza della parola che torna a fare capolino con prepotenza nella vita e soprattutto nel destino di Rula Jebreal.

Le iniziali collaborazioni con i quotidiani locali lasciano infatti posto ad una dimensione sempre più ampia e internazionale, grazie alla capacità e al coraggio di parlare in televisione essendo tra le uniche – all’epoca – a sostenere le ragioni della causa palestinese.

Prima redattrice di La7 e poi autrice bestseller, si trasferisce a New York dove viene notata da Tina Brown, direttrice del celebre settimanale di area liberal Newsweek.

Non passa inosservata neanche agli occhi del New York Times e Washington Post, i due mostri sacri dell’editoria a stelle e strisce che si contendono i suoi editoriali e reportage consacrandola a opinion leader indiscussa.

Uno status che la giornalista naturalizzata italiana ha saputo sfruttare con grande intelligenza per promuovere attivamente una battaglia senza confini a favore dei diritti delle donne.

In Italia è persino riuscita a spezzare l’incantesimo che nelle ultime edizioni ha sempre e comunque trasformato il Festival di Sanremo in uno specchio del maschilismo imperante nel nostro Paese, dimostrando che dietro ad un volto piacente può nascondersi molto ma molto di più: ad esempio una voce capace di far emozionare e riflettere toccando i tasti più dolorosi.

È anche grazie a lei se il sessismo e un certo tipo di patriarcato innato, che non di rado sfocia nella violenza sulle donne, sono diventati nell’ultimo decennio un serio argomento di dibattito pubblico sui media.

Rula Jebreal ci è riuscita come sempre attraverso le parole, uno strumento terapeutico e di speranza rivolto a tutte le donne: “È necessario parlare, il senso in fondo è nelle parole giuste e nelle domande giuste”.

E nella forza delle parole, spesso, si annida un coraggio a volte sconosciuto persino a sé stessi.

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