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I monopattini per la movida

E’ l’ultima moda della movida estiva dei “pischelli”, quelli che gli inglese chiamano teenagers, il nuovo divertimento della notte romana. Un po’ come essere a Disneyland o al Lunapark. Sfrecciano sul monopattino elettrico a noleggio, in sharing sempre per dirla all’inglese, occupano piazze, vie e marciapiedi del centro storico, preferibilmente in branchi disordinati. Dopo l’uso capita che li trovi abbandonati sulla sede stradale, sui marciapiedi, appoggiati ai monumenti.

 

Poi ci sono quelli che il monopattino l’hanno di proprietà, l’hanno comprato e lo usano per andare al lavoro o per spostarsi in centro: viaggiano con lo zainetto sulle spalle, vestono magari in giacca e cravatta, immagini sappiano quel che fanno, sono adulti non adolescenti. Eppure, sbucano da ogni dove, arrivano contromano, sorpassano le auto ad andature che vanno dai 35 ai 40 chilometri l’ora, anche a destra, quando il limite massimo stabilito per questi veicoli è 25 chilometri sulla carreggiata e 6 km/h nelle aree pedonali. Ma, spiegano i più informati, li truccano, li “craccano” per stare al gergo di oggi, per andare più veloci, come una volta si truccavano i motorini “cinquantini”.

 

In teoria sono tenuti a rispettare le regole del Codice della Strada, come le biciclette, visto che i due mezzi sono stati equiparati con il Decreto milleproroghe, però spesso – esattamente come troppi ciclisti, mi si perdoni la franchezza – anche i “monopattinisti” fingono di non conoscerle. Resta che non hanno l’obbligo di usare il casco (che vale solo per i minorenni) né di avere un’assicurazione, tanto meno una targa e quindi non sono identificabili nè rintracciabili.

 

Le stime dei giornali parlano di 100mila monopattini circolanti, ma il loro numero sta sicuramente aumentando, complice l’epidemia di Coronavirus, la paura di salire sui mezzi pubblici e la voglia di usare mezzi all’aria aperta: gli operatori che li offrono in sharing – che sono stati bravi a ottenere l’equiparazione alla bicicletta in tempi record per la pubblica amministrazione italiana – stanno aumentando vertiginosamente l’offerta. A Roma sono ben quattro, con mille mezzi elettrici su strada ciascuno – Helbiz, Lime, Bird e Dott – a Milano sono già 6mila, li vogliono a Firenze come a Bologna, a Napoli come a Bari e nelle città turistiche. Chi vorrebbe acquistarli trova il tutto esaurito, molti negozi hanno finito le scorte.

 

L’esito di questa accelerazione? Lo leggiamo sulle cronache locali dei quotidiani: “Incidente sul monopattino elettrico, grave ragazza senza casco e contromano”, titola Il Messaggero, “Incidente monopattino Milano, in due contromano contro un taxi, una è grave” gli fa eco il Corriere della Sera. E qualche testata specializzata comincia a scrivere “Monopattini elettrici: troppi incidenti. Casco obbligatorio” mentre Quattroruote ha segnalato il primo morto nel bolognese, aggiungendo: “Ora serve il casco per tutti”.

 

Per il momento le città restano semi-deserte e il traffico automobilistico non è certo quello di dodici mesi fa. Cosa accadrà in autunno, quando riapriranno le scuole e le auto torneranno a riprendersi di prepotenza le strade? Per una volta, sarebbe opportuno pensarci prima, prevenire anziché correre ai ripari. E correggere una legislazione forse troppo frettolosa, che rischia di non tutelare la sicurezza né dei “monopattinisti”, né dei ciclisti, né degli automobilisti e tantomeno dei pedoni. Non a caso la Gran Bretagna, che tanto incoraggia la mobilità urbana ciclistica, ha scelto di partire con una sperimentazione di 12 mesi in dieci grandi città, imponendo l’assicurazione obbligatoria.

 

Le belle pavimentazioni delle strade di tante città italiane, ma anche le buche e le sconnessioni delle pietre a cui si aggiunge spesso l’indisciplina di noi automobilisti, impongono d tutelare meglio tutti gli utenti della strada. Se necessario rivedendo le norme del Codice della Strada anche per le biciclette che, con l’avvento di quelle a trazione elettrica, possono anche loro trasformarsi in bolidi da 50 chilometri l’ora.

 

Tanto più se si immagina che questo tipo di mobilità, la cosiddetta micromobilità, diventi parte integrante, stabile e strutturale della nuova mobilità post-pandemia, va valutata l’introduzione di regole più rigorose. Per esempio, targa di riconoscimento, casco obbligatorio come per i ciclomotori e assicurazione: viaggeremmo tutti più tranquilli. Mentre il servizio in condivisione va inserito nei piani urbani della mobilità sostenibile per renderlo davvero complementare al trasporto pubblico e agli altri mezzi. Mettendo un argine a che diventino il nuovo gioco serale e notturno dei ragazzi e lo slalom a tutta velocità degli adulti nelle ore diurne.

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