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Recovery Fund, la trattativa sbagliata dell’Italia

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Procedono, al solito tormentate, le trattative sui programmi finanziari dell’Unione europea. La questione più scottante oggi sul tavolo è quella relativa al Recovery Fund o, se si preferisce il nome evocativo suggerito dalla Presidente della Commissione Ursula von der Leyen, Next generation Fund. In sostanza il fondo che dovrebbe sostenere i Paesi nel fronteggiare, e se possibile attenuare, le conseguenze economiche della pandemia da Covid-19.

 

Spiace dirlo, ma la posizione assunta dall’Italia in questa vicenda è davvero imbarazzante. Ci siamo presentati nella trattativa chiedendo che l’Unione accrescesse la dotazione finanziaria del Fondo, che ne destinasse all’Italia una quota elevata, e che una sua parte più consistente assumesse la forma del dono e non del prestito. Per di più, continuiamo a chiedere che questo dono arrivi il più presto possibile.

 

Ma si può contrattare un dono? E pretendere che arrivi in fretta? Difficile immaginare una posizione negoziale più debole. Anche perché si è data l’impressione di sopravvalutare il valore del ‘dono’. Se l’Unione fa un regalo a qualcuno dei suoi componenti, dovrà indebitarsi e prima o poi ripagare quel debito. Anche il Paese beneficiario sarà chiamato a fornire i quattrini necessari a rimborsarlo, secondo la sua quota ordinaria nel finanziamento dell’Unione. Dunque l’entità effettiva del dono è pari alla differenza tra quanto ciascuno riceve e quanto sarà chiamato a rifondere al momento della scadenza del debito contratto per fare il regalo. Le somme in gioco per l’Italia, considerato il peso che essa riveste nel finanziamento dell’Unione, sono decisamente inferiori a quelle di cui con troppa leggerezza si parla.

 

Era possibile una posizione negoziale alternativa? Sicuramente sì, e sarebbe stata più ragionevole, più dignitosa, e capace di apportare all’Italia maggiori benefici finanziari. Per strano che sembri, la aveva suggerita fin dal 30 marzo scorso Klaus Regling, direttore generale del fondo europeo salvastati, in un’intervista al Financial Times. L’Italia ha sempre sostenuto che il bilancio comune deve essere utilizzato per favorire la convergenza tra i diversi Paesi, prevedendo trasferimenti dai paesi più ricchi a quelli meno fortunati. Così, quando siamo entrati nel novero dei Paesi ricchi, quelli che hanno un reddito pro-capite maggiore della media europea, siamo diventati anche contributori netti dell’Unione, cioè trasferiamo alle istituzioni comuni molti più fondi di quelli che riceviamo.

 

Sennonché, ormai da diversi anni, per colpa nostra e non certo dell’Unione, siamo tornati ad essere tra i paesi “poveri”, quelli il cui reddito pro-capite è inferiore a quello medio. Ora siamo stati colpiti dal Coronavirus più degli altri, anche dal punto di vista economico. Tutti gli osservatori, e la stessa Unione europea, concordano sul fatto che il nostro reddito pro-capite scenderà ancor di più di quanto avverrà nella media dei nostri partner. La distanza a nostro sfavore si farà ancora più ampia. Come ha osservato Klaus Regling, ha ancora senso che l’Italia rimanga un contribuente netto dell’Unione, cioè paghi più di quanto riceve? La somma in gioco sembra piccola, rispetto ai fantastiliardi di cui si discute: circa 5 mld all’anno.

 

Ma è un esborso permanente. Per comprenderne il peso, con 5 mld potremmo pagare gli interessi su un debito a lungo termine aggiuntivo di oltre 200 mld. Nessuno mai avrebbe potuto contestare la posizione negoziale dell’Italia, se si fosse presentata al tavolo dicendo: poiché purtroppo siamo più poveri degli altri, non possiamo contribuire ulteriormente al sostentamento di chi è più ricco di noi. Non chiediamo soldi all’Unione, nonostante le difficoltà nelle quali ci troviamo, ma vogliamo smettere di donarle i nostri di soldi, almeno finché non torneremo ad essere tra i paesi ricchi.

 

Sono trascorsi poco più di quarant’anni da quando l’allora premier della Gran Bretagna, Margaret Thatcher, fece un discorso analogo, con risultati finanziari per il suo paese niente affatto trascurabili. Forse non si può pretendere dal nostro personale di governo una postura simile a quella della Lady di ferro. Ma almeno che riguardino il suo discorso di allora, facilmente rintracciabile sulla rete, e ne facciano tesoro.

 

La versione originale di questo articolo, a firma di Natale D’Amico, è disponibile sul numero di Fortune Italia di luglio/agosto. Ci si può abbonare al magazine mensile di Fortune Italia a questo link: potrete scegliere tra la versione cartacea, quella digitale oppure entrambe. Qui invece si possono acquistare i singoli numeri della rivista in versione digitale.

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