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Recovery Fund, nessuno si salva da solo

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Il confronto di questi giorni a Bruxelles sul Recovery Fund, sul “se” e sul “ma”, rivela una volta di più quanto il dibattito sia asfittico sia a livello nazionale che europeo.

 

Le discussioni su quanto accade in Europa sono tradizionalmente così, da molti anni. Ognuno tende a vedere quello che accade con “gli occhi” del proprio interesse particolare dimenticando il quadro generale.

 

Tutto si riduce, alla fine, al fatto che Conte tornerà o meno a Roma con un accordo “accettabile”, se i paesi “frugali” avranno in qualche modo frenato il desiderio di spendere “soldi altrui” dei paesi del sud europa, quanto possibili accordi varranno in termini percentuali sulla prossima campagna per le elezioni amministrative, quanto l’opposizione potrà lucrare politicamente da un eventuale fallimento su questa trattativa da parte del governo. Insomma, per dirla in sintesi, robaccia.

 

In realtà la discussione di questi giorni rivela i limiti di una architettura istituzionale europea che è assolutamente inadeguata non solo per gestire l’emergenza di questi mesi ma anche per guidarci verso le enormi sfide che ci attendono nel futuro.

 

Il fatto stesso che si discuta sul tema che i fondi siano dei singoli paesi che accettano di “metterli” o meno in condivisione per gestire emergenza con richieste più o meno di diritti di veto ci dice del livello, molto basso, della discussione.

 

Il tema della “accountability” sulla gestione delle risorse è senza dubbio un tema vero, e mi pare il minimo sindacale discuterne, ma non nella logica del “rendiconto contabile” piuttosto sulla valutazione degli effetti che queste risorse avranno avuto in termini di rafforzamento della coesione sociale e di riduzione delle disuguaglianze che in tempo di crisi rischiano di essere un elemento pericolosissimo non solo per la crescita economica e sociale ma anche per la sicurezza e la vera e propria tenuta democratica dei vari paesi.

 

E’ molto probabile che Spinelli, De Gasperi, Adenauer, Schumansi stiano rivoltando nella tomba in questo momento pensando alla totale mancanza di visione politica di piccoli leader che sono più interessati alle elezioni dei condomini del proprio quartiere che al futuro dell’Europa.

 

Avere una Europa forte, coesa, autorevole non è un interesse metafisico ma è sostanzialmente legato alla sostenibilità di medio/lungo periodo dei singoli paesi che ne fanno parte, senza eccezioni.

 

Nessuno si salva da solo e la vicenda Covid ce lo sta insegnando in modo potente come un pugno nello stomaco. Le economie sono interdipendenti, a maggior ragione a livello macroregionale e l’Europa tutto sommato nel mondo è questo, una macroregione.

 

Nelle condizioni che stiamo vivendo bisognerebbe lavorare ad un processo di integrazione maggiore, avvicinando i sistemi fiscali per impedire “dumping” e “free riding”, cambiando il sistema di regole istituzionali, dando maggiori poteri ai cittadini e riducendo quelli dei governi dei singoli paesi perché c’è anche questo paradosso…tutti se la prendono con l’”europa” come entità istituzionale ma sono gli interessi, i veti, le ipocrisie di singoli paesi che impediscono decisioni, che bloccano sviluppo, che limitano programmazione ed innovazione.

 

Abbiamo bisogno, con assoluta urgenza, di più Europa ma a condizione che il sistema istituzionale venga cambiato, facendo scelte in questo senso coraggiose che non possono essere rimandate. Scelte che mettano tutti davanti alle proprie responsabilità ed i cittadini nelle condizioni di decidere il futuro che vogliamo.

 

Il sogno dei leader fondatori di quella che poi sarebbe diventata l’Unione Europea è ancora li davanti a noi ma non può essere “ostaggio” di situazioni e interessi di bottega, veramente di piccola cabotaggio, come quelli che stiamo vedendo in questi giorni ed in queste settimane.

 

Abbiamo già perso in altre occasione l’appuntamento con la storia.

 

Abbiamo permesso che qui, nel cuore della civilissima Europa, ci fosse il massacro di Srebrenica, di cui da pochi giorni c’è stato l’anniversario, sostanzialmente senza muovere un dito ed evidentemente senza imparare niente.

 

James Freeman Clarke era un predicatore e teologo statunitense vissuto nell’ottocento. Disse per la prima la prima volta la frase che un politico guarda alle prossime elezioni ed uno statista alla prossima generazione. Un politico pensa al successo del suo partito, lo statista a quello del suo paese.

 

Abbiamo un drammatico vuoto di leadership e di visione a livello europeo frutto di leadership mediamente scarse e poco preparate, con qualche eccezione, a livello nazionale.

 

Possiamo arrabbiarci dicendo “piove, governo ladro” o possiamo rimboccarci le maniche pensando che le cose possono cambiare solo non delegando, informandoci, occupandocene in prima persona, criticando chi dice cazzate e fake news per bassa speculazione politica, pressando le istituzioni per fare proposte che cambino una volta per tutte gli assetti istituzionali facendo contare i cittadini.

 

Credo sia giusto e sia necessario perché, nonostante tutto, con tutti i suoi limiti, il sogno dei fondatori della comunità europea resta, oggi, la migliore opzione che abbiamo per il nostro futuro.

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