NF24

Confindustria dispositivi medici: Serve ossigeno strutturale

dispositivi medici boggetti confindustria dispositivi medici
Aboca banner articolo

Salute, scienza e industria. Sono le tre leve proposte da Confindustria dispositivi medici (Cdm) per progettare un futuro nuovo con una programmazione strategica di lungo periodo. La versione originale di questo articolo, a firma di Carlo Buonamico, è disponibile sul numero di Fortune Italia di gennaio 2021.

 

Il COMPARTO ITALIANO dei medical device è pronto a fare la propria parte. E chiede la collaborazione di governo, forze politiche, università e medici per costruire insieme l’industria italiana di domani, volano di ripresa economica e di stabilità sociale.

 

 

SALUTE: RINNOVARE SEGUENDO L’EVIDENCE-BASED MEDICINE

 

Le debolezze del Sistema sanitario palesatesi nel corso della pandemia non permettono più di tergiversare. Occorre un’iniezione di ossigeno, è il caso di dirlo, che però sia strutturale. Un rifinanziamento del Servizio sanitario nazionale (Ssn) centrato e programmato sulle esigenze di salute della popolazione di oggi, ma soprattutto di domani. Fondamentale per Cdm, riuscire a colmare il divario tra la spesa nazionale di 190 euro pro capite per i dispositivi medici e i 373 della Germania.

 

Investimenti che potranno essere rivolti anche all’ammodernamento del parco tecnologico dell’ospedalità italiana. All’interno del quale, a titolo di esempio, il 50% dei ventilatori di terapia intensiva che nostro malgrado abbiamo imparato a conoscere in quest’ultimo periodo hanno un’obsolescenza di oltre 10 anni. Dove i medici si trovano a utilizzare mammografi vecchi di 11 anni o più, sistemi angiografici e risonanze magnetiche nucleari aperte con un’età media di 10,6 e nove anni rispettivamente.

 

Trattandosi di sanità pubblica, il rinnovo delle tecnologie prevede acquisti attraverso un sistema di gare d’appalto, che secondo l’associazione di categoria non è propriamente l’ideale. Una delle proposte per favorire un più efficiente ricambio tecnologico riguarda proprio un nuovo sistema di procurement per i dispositivi medici destinati alla sanità pubblica. Obiettivo: superare i tempi delle gare centralizzate, i prezzi di riferimento imposti e i cluster omogenei.

 

Ma cosa si dovrebbe cambiare a livello pratico? “Nel processo di acquisto e di public procurement si deve valorizzare l’intero ciclo di acquisto”, spiega il presidente di Confindustria Dispositivi Medici, Massimiliano Boggetti. “Ciò significa fare una ricognizione dei bisogni da soddisfare con gli acquisti. Si tratta di un’attività spesso fatta in modo non accurato. Una volta bandita, bisognerebbe che la gara d’acquisto non fosse spinta esclusivamente attraverso una griglia di caratteristiche tutte uguali. Importante è anche l’aspetto di valutazione della conformità tecnica spesso fatta dalle ingegnerie cliniche, o dalle farmacie ospedaliere nel caso si tratti di prodotti consumabili, che prevede la verifica che la fornitura sia congrua rispetto al capitolato di gara”.

 

Il problema potrebbe nascere nel caso di gare che riguardano forniture pluriennali. Come fare perché questi principi continuino a valere nel tempo? “Varrebbe la pena di immaginare un controllo in corso di fornitura per verificare che essa stia dando veramente l’esito di salute atteso. Si innescherebbe così un circolo virtuoso centrato sull’innovazione tecnologica e sull’outcome per il paziente, capace di mettere in luce la vera influenza della tecnologia sui risultati di salute”, risponde pronto Boggetti. Che sembra introdurre anche la necessità di spingere sul pedale della valutazione dei dispositivi medici in base all’evidence-based medicine.

 

“Ragionando in quest’ottica entrano in gioco i concetti di health technology assessment dell’innovazione a fare da linea guida per le gare d’acquisto, non solo per le sue caratteristiche tecniche ma anche per l’impatto socio-economico prodotto sul territorio; purtroppo l’attuale centralizzazione degli acquisti non permette ancora di inserire dei meccanismi di valutazione così sofisticati”, continua non senza una certa delusione, evidenziando come “la gara centralizzata, che per definizione massifica e standardizza tutto con l’obiettivo di ottenere il prezzo più basso, non riesce a identificare realmente i bisogni perché lavora su un territorio ampio e disomogeneo in termini di bisogni di salute. E nemmeno a misurare gli outcome di salute”.

 

Infatti, il sistema basato sulle centrali d’acquisto, che hanno funzionato fin troppo bene per il bisogno per cui erano state pensate, cioè per il risparmio che ha contribuito a mettere in sesto i conti della sanità, oggi “va ripensato nell’ottica di capire quali sono le tecnologie che possono beneficiare di un acquisto centralizzato e di quelle che invece non lo possono seguire, pena lo svilimento del loro contenuto tecnologico”. Un contenuto su cui investe l’industria e che rappresenta la base della sanità moderna.

 

SCIENZA: FAVORIRE IL RAPPORTO TRA PUBBLICO E PRIVATO

 

Lo sviluppo tecnologico di un Paese richiede un’adeguata diffusione di una profonda cultura scientifica. Che sia pervasiva di tutti gli ambiti in cui la tecnologia può esprimersi: dalle scuole, alle università, ai centri di ricerca, ai laboratori dell’industria. E così, oltre a tornare a finanziare la ricerca di base e quella applicata, Cdm propone di supportare la cultura scientifica del nostro Paese anche incentivando il trasferimento tecnologico dai centri universitari all’industria. Un contesto favorevole agli investimenti delle imprese nella ricerca comprenderebbe infatti la creazione di nuovi uffici di tech transfer capaci di mappare veramente l’innovazione prodotta nei centri di ricerca pubblici e di proporla all’industria. “Il comparto dei dispositivi medici investe oltre il 6% del fatturato in ricerca e sviluppo e le imprese devono essere incentivate nell’intraprendere studi clinici. Come Paese dobbiamo tornare a credere fermamente nella scienza, nella ricerca e nella medicina e per farlo dobbiamo investire nella formazione dei giovani per creare competenze e offrire opportunità ai nuovi talenti. Dobbiamo necessariamente ripartire dall’istruzione e dalla cultura se vogliamo ritornare a essere un Paese di eccellenza, specialmente nella medicina e nella tecnologia medica”, riferisce il presidente. Per raggiungere l’obiettivo finale, si potrebbe anche intervenire su ciò che non è utile allo scopo.

 

Come “le leggi che non incentivano la collaborazione tra medico e industria”, esemplifica Boggetti, che invece ritiene sia un dialogo fondamentale per il processo che deve guidare l’innovazione in ambito sanitario. “Bisogna allontanare lo spirito di ostilità rispetto all’industria che lavora con il medico. Tranne qualche raro caso che noi stessi abbiamo condannato, il comparto dei dispositivi medici lavora secondo stringenti principi etici rafforzati anche con il nuovo Codice di Condotta”, ricorda.

 

INDUSTRIA: SERVONO AZIONI DI SISTEMA

 

L’industria dei dispositivi medici, parte della white economy, secondo Cdm oggi ha la possibilità di diventare un’eccellenza del made in Italy. Ma necessita di interventi strutturali che possano, tra l’altro, incentivare sul territorio italiano la produzione e la ricerca industriale, che generano occupazione e indotto. Fondamentali saranno i fondi europei che andranno al comparto salute. Che dai 68 mld ventilati dal ministro Speranza all’indomani dell’ok dell’Europa alla destinazione all’Italia di 209 mld, sono diventati 9. Stando alla bozza del recovery plan di inizio dicembre, queste risorse potrebbero essere concentrate su due macro aree di azione: assistenza di prossimità/telemedicina e innovazione, ricerca e digitalizzazione dell’assistenza sanitaria. E in questo secondo ambito sarebbero compresi proprio l’ammodernamento del parco tecnologico degli ospedali e il tech transfer.

 

Sarà sufficiente? “È scandaloso il fatto che a pochi mesi di distanza dall’ecatombe primaverile si ritratti già sulla reale importanza della sanità. Il presidente della fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, aveva stimato che il nostro Ssn fosse carente di 40-50 mld di risorse. Se invece si pensa di investirne nove, i conti non tornano. Ma al netto della cifra finale che sarà destinata alla sanità, la vera chiave è comprendere se valga più la pena comperare tecnologie e basta o acquistare quelle che possono determinare anche una ricaduta economico-occupazionale. Lo stimolo che voglio che il decisore politico percepisca è quello di sostenere l’acquisto di queste tecnologie dalle aziende che producono sul territorio nazionale”, commenta Boggetti. Che poi chiosa: “Se fossi un politico sceglierei di mettere a sistema gli acquisti da fare e la competenza già esistente, e attiverei degli incentivi affinché chi si aggiudica le gare possa produrre in Italia. Vale la pena provarci. Otterremmo nel medio termine un ritorno immediato dell’investimento. Avremmo creato una filiera produttiva italiana completa e avremmo messo a sistema le risorse investite. Se poi ci fossero degli incentivi del ministero dello Sviluppo economico a favore della ricerca e sviluppo saremmo riusciti a chiudere il cerchio. Sono cose semplici. Ciò che mi preoccupa maggiormente è che oggi nessuno sembra avere la voglia di farlo”.

 

La versione completa di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di gennaio 2021. Ci si può abbonare al magazine mensile di Fortune Italia a questo link: potrete scegliere tra la versione cartacea, quella digitale oppure entrambe. Qui invece si possono acquistare i singoli numeri della rivista in versione digitale.

ABBIAMO UN'OFFERTA PER TE

€2 per 1 mese di Fortune

Oltre 100 articoli in anteprima di business ed economia ogni mese

Approfittane ora per ottenere in esclusiva:

Fortune è un marchio Fortune Media IP Limited usato sotto licenza.