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L’inclusione è un fattore fondamentale per promuovere il benessere dei lavoratori. In qualche modo è una leva di welfare aziendale. Così come l’inclusione digitale è sempre più un fattore abilitante per la vita delle persone, favorendo quel bilanciamento tra vita e lavoro che non si manifesta solo nella mobilità e nei servizi alla persona.

L’iniziativa promossa da Tim, “4Weeks4Inclusion”, che si concluderà il 22 novembre, è uno dei passi di questo percorso di inclusione. E’ il più grande evento interaziendale dedicato ai temi dell’inclusione e della valorizzazione delle diversità. Una vera maratona di dibattiti e quasi duecento eventi digitali (webinar, digital labs, gruppi creativi), giunta quest’anno alla sua seconda edizione. L’iniziativa promossa da Tim con oltre 200 aziende (erano 27 lo scorso anno) ha avuto inizio lo scorso 22 ottobre, e si è rivolta ai 700mila dipendenti delle aziende partner.

Luciano Sale, Direttore human resources, organization & real estate ha dichiarato che “Tim ha da tempo avviato il percorso per essere un’azienda sempre più inclusiva, prendendosi cura delle sue persone e incoraggiando il dialogo per valorizzare tutte le diversità. Siamo molto soddisfatti per aver condiviso questo importante obiettivo con le principali realtà del tessuto imprenditoriale che hanno aderito alla “4Weeks4Inclusion”, un’iniziativa unica in Italia, parte del nostro più ampio programma di inclusion management. Crediamo fermamente che un ambiente in cui ognuno possa esprimere al meglio le proprie potenzialità e particolarità, nel pieno rispetto delle pari opportunità e della diversità, sia alla base del successo e della crescita delle aziende”.

Nel corso dell’evento “Italia 2026 – Tutti connessi, nessuno escluso” svoltosi lo scorso 3 novembre in occasione della giornata di “4Weeks4Inclusion” dedicata all’inclusione digitale, è stato presentato il report del Censis realizzato in collaborazione con il Centro Studi Tim “La digitalizzazione degli italiani. Fattori di spinta ed elementi trainanti”. Secondo lo studio, la povertà digitale può essere strutturale-situazionale ma anche cognitiva-comportamentale e in Italia il digital divide è fortemente correlato con il livello di istruzione. Tra coloro che dispongono al massimo della terza media le persone in difficoltà sono la maggioranza (58,7%). Non si può tuttavia trascurare che una quota di persone esposte al digital divide è presente anche tra chi possiede un titolo di studio superiore (15,8%).

Durante la pandemia è emerso che per aver accesso a internet chi non aveva le giuste competenze ha provato ad arrangiarsi per superare il lockdown: le persone con scarse competenze digitali, in particolare gli anziani, si sono appoggiate su familiari e conoscenti. Pochi hanno dovuto rinunciare. In futuro si percepisce una maggiore disponibilità a mettersi sotto sforzo personalmente, in parte anche attraverso momenti di formazione.

Il digital divide non è un problema del passato. L’età, il livello di istruzione e l’inserimento nella vita attiva sono fattori decisivi per qualificare e quantificare la connessione degli italiani alla Rete, che è una delle modalità essenziali di inclusione sociale. Una diversa forma di povertà e di marginalità che devono essere conosciute e ridotte. Oltre alle istituzioni un ruolo essenziale in questo compito di promozione sociale è riservato alle imprese. E quelle più “illuminate” non si sottraggono al ruolo.

“La fragilità digitale tende a manifestarsi in vari modi e creare situazioni di disagio: quando l’esclusione deriva da mancanza di connessione o di device si risolve facilmente, è solo una questione di soldi. Ma il tema è evitare divari di competenze, non c’è solo andare in Rete ma sapere interpretarla. Nessuno deve rimanere escluso” ha commentato Luigi Gubitosi, amministratore delegato Tim.

Gubitosi ha aggiunto, inseguendo la prospettiva temporale del report: “Nel 2026 vedo un’Italia in cui dovrebbe essere stata completata la rete, dove continuiamo a fare progressi: siamo passati da un Giga a due e mezzo, fino ad arrivare a dieci. Il progresso è continuo, e dobbiamo garantire che lo sia anche per le competenze: nel 2026 ci sarà un’Italia che funzionerà meglio, e tante cose che oggi sembrano dei miracoli saranno scontate”.

Dall’analisi condotta da Censis-Tim emerge anche che le competenze digitali sono fortemente influenzate dal far parte o meno della popolazione attiva. Tra gli occupati la quota di chi è in difficoltà supera di poco il 5%, ma sale all’11,3% tra i disoccupati e arriva fino a quasi la metà degli inattivi (44,6%). Chi non è impegnato in un’attività lavorativa, (che nel 78,7%dei casi implica l’utilizzo di mezzi digitali), ha molte meno occasioni per utilizzare e sviluppare le proprie competenze digitali. Anche il basso tasso di attività delle donne in Italia (55,2% in totale, ma sotto il 40% in alcune regioni del Sud), non favorisce l’inclusione digitale.

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