Unione europea della salute e malattie croniche

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Andiamo verso un’Unione europea della salute. È una buona notizia per cominciare il nuovo anno. L’accelerazione dovuta alla pandemia non deve però farci perdere di vista quanto è stato costruito negli ultimi anni né tantomeno il concetto ripetuto per decenni che “la salute è ricchezza” (“Health is Wealth”), finalmente compreso dai governanti europei nell’affrontare le sfide della pandemia, sia di natura sanitaria che socioeconomica.

La salute pubblica non è una piena competenza europea (vedi art. 168 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea) e, quindi, esistono dei limiti giuridici oltre i quali le istituzioni europee non possono spingersi. Eppure si è giunti al punto di bandire una procedura di gara per la fornitura dei vaccini contro Covid-19 gestita dalla Commissione Europea, facilitando il lavoro degli Stati membri e soprattutto cercando di assicurare la più equa distribuzione di vaccini sul territorio dell’Unione al prezzo più vantaggioso. Un passaggio politicamente importante per le autorità nazionali a prescindere da errori di implementazione che possano essere stati commessi.

Questo esempio recente era stato anticipato da una decisione politica senza precedenti: il lancio dell’ambizioso piano europeo EU4Health nel 2021, che per mezzo di un regolamento comunitario ha stanziato un budget di 5.3 miliardi di euro da investire in azioni che “abbiano un valore aggiunto a livello europeo e siano complementari alle politiche nazionali” nel perseguire gli obiettivi riconosciuti da tutti gli Stati membri attraverso lo stesso programma EU4Health.

Ci sono numerose ragioni, sia strategiche che pratiche, che dimostrano perché sia giusto andare in questa direzione europeista e la lista che segue non è esaustiva né in ordine di importanza:

i virus non riconoscono confini nazionali, dunque è indispensabile proteggere la popolazione con misure di prevenzione e di risposta rapida a rischi sanitari transfrontalieri: da cui l’esigenza di creare un’autorità per l’emergenza e l’azione comune europea, Hera (Health Emergency and Response Authority);
l’armonizzazione regolatoria per la valutazione ed autorizzazione all’immissione in commercio di farmaci attraverso l’Ema, già in essere da trent’anni circa;
il coordinamento di ricerche epidemiologiche attraverso l’agenzia per il controllo delle malattie, Ecdc (European Centre for Disease Prevention and Control);
l’identificazione e il rafforzamento di un network di centri di riferimento per malattie rare;
il riconoscimento dei diritti dei pazienti europei alle cure in altri Stati membri dell’Ue;
la promozione della ricerca scientifica e clinica sostenuta da fondi europei;
la creazione di uno spazio europeo dei dati sanitari che ne garantisca la qualità ed il controllo anche attraverso la nuova agenzia per i dati sanitari (Hadea).

Un passo ulteriore voluto dalle istituzioni europee e fortemente sostenuto dalla comunità scientifica e dalla società civile concerne la lotta a malattie specifiche, come il cancro: per quest’ultimo, il recente piano europeo (Europe’s Beating Cancer Plan) prevede una serie di azioni mirate, in parte finanziate dalla Commissione Europea, che coinvolge direttamente gli Stati membri.

In sostanza si è creato un precedente importante, e ora si parla di lotta contro tutte le malattie croniche non trasmissibili, a cominciare dalle malattie cardiovascolari, respiratorie, diabete, fino ai disordini neurologici e le malattie mentali: le società scientifiche, le organizzazioni che rappresentano pazienti o che promuovono la salute pubblica, sono mobilitate per chiedere che le istituzioni europee riconoscano la necessità di dare visibilità, nel senso più “operativo”, alla propria area di interesse. In apparenza può sembrare una polifonia poco coordinata e competitiva, in realtà si tratta di un passaggio fondamentale per identificare le vulnerabilità dei sistemi sanitari, assicurando allo stesso tempo l’inclusività e l’equità di tali sistemi rispetto ai propri fruitori.

Ciononostante, il dibattito politico europeo verte ancora sull’opportunità o meno di creare dei nuovi programmi ‘verticali’ (cioè focalizzati su malattie specifiche, come già fatto per il cancro) anziché promuovere azioni ‘orizzontali’, direzionali e di sostegno. Gli argomenti a favore o contro un approccio o l’altro sono diversi, eppure si potrebbe argomentare che restando a livello generale non si inciderebbe concretamente in una certa area di rilevanza politico-sanitaria. Se di converso venissero previste delle azioni specifiche anche graduali in un contesto programmatico generale, si rientrerebbe di fatto in un programma d’azione verticale, e allora tanto varrebbe partire direttamente da questo.

L’approccio dell’Unione europea per affrontare le malattie non trasmissibili si fonda su una risposta integrata che combini il rafforzamento dei sistemi sanitari con la promozione della salute e della prevenzione (incluso lo screening e la diagnosi precoce delle malattie), la riduzione delle diseguaglianze e naturalmente una migliore gestione del percorso di cura che sia attento alla qualità di vita del paziente. Il supporto europeo dovrà focalizzarsi sull’implementazione, per esempio con l’identificazione e la promozione di buone pratiche da un Paese all’altro, e contribuendo alla definizione di linee guida di rilevanza europea.

Le priorità e le azioni da intraprendere per ridurre l’impatto delle malattie croniche verranno discusse nei prossimi mesi da tutti gli Stati membri in uno Steering Group on Health Promotion, Disease Prevention and Management of Non-Communicable Diseases. La discussione pubblica con i vari stakeholders invece avverrà attraverso la piattaforma della Commissione (Health Policy Platform), su cui sarà possibile confrontarsi e proporre nuove idee anche su aree tematiche specifiche. Ovviamente il lavoro sarà graduale e complesso, ma costituirà un’altra pietra miliare nella costruzione dell’Unione Europea della Salute.

*Eduardo Pisani, Ceo All.Can International

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