L’ultimo ‘medico condotto’, la lezione di Pasquale Trecca e Covid

Pasquale Trecca
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“Pasquale Trecca è stato uno dei grandi medici italiani e giustamente la città di Foggia, ove ha esercitato, gli ha appena intitolato una strada”. Lo ricorda il pediatra Italo Farnetani, ordinario di Pediatria alla Libera Università degli Studi di Scienze Umane e Tecnologiche, United Campus of Malta, che all’attualità del pensiero di Pasquale Trecca alla luce della pandemia di Covid-19 ha dedicato un intervento al convegno “Quale sistema sanitario dopo l’epidemia Covid-19”, a Foggia.

Nel 1976 Trecca divenne presidente dell’Associazione nazionale dei medici condotti. “Era un periodo particolarmente importante – rileva Farnetani – perché si trattava di definire il nuovo sistema sanitario nazionale previsto dalla legge 833 che sarebbe entrato in vigore il primo gennaio 1979. Trecca propose di trasformare le condotte mediche in distretti socio sanitari che avrebbero dovuto rappresentare un presidio assistenziale presente capillarmente in tutto il territorio. Importante e originale era la figura del “medico di comunità”: doveva garantire la presenza nel territorio come era stato previsto nella riforma sanitaria italiana emanata da Francesco Crispi nel 1888, che prevedeva la suddivisione di tutto il territorio nazionale in condotte mediche che dovevano garantire la presenza di un medico condotto che, in quanto residente, fosse in grado, anche nelle parti più sperdute della nazione, di assicurare l’assistenza sanitaria”.

Trecca ipotizzò che in ogni distretto dovessero confluire più condotte mediche e che a capo ci fosse il “medico di comunità”. “Già il termine usato dimostra la volontà di avere una figura di sanitario vicino alla gente, che facesse parte integrante del territorio e della popolazione – dice Farnetani a Fortune Italia – Trecca ipotizzò che il medico di comunità dovesse essere un medico residente e dipendente, ma anche un clinico che oltre, al compito istituzionale, avesse anche la conoscenza dell’andamento clinico ed epidemiologico rilevato sul campo. Occorreva una doppia figura per la medicina pubblica che garantisse l’aspetto di igiene e sanità pubblica, ma nello stesso tempo che fosse anche un medico convenzionato che, stando vicino al letto del malato, conoscesse sia le persone sia le realtà umane e i bisogni sociali presenti nel territorio”.

“Se si fosse affrontata la pandemia di Covid-19 con la presenza in ogni zona d’Italia di un distretto socio sanitario – riflette Farnetani – si sarebbero potute evitare molte delle criticità che sono emerse, si sarebbero evitate molte incomprensioni e diffidenze sui vaccini e avremmo avuto un maggior numero di somministrazioni, con una maggiore copertura vaccinale. Nello stesso tempo si sarebbero potuti individuare i casi critici o di disagio sociale, oppure anche più semplicemente difficoltà logistiche di accedere ai servizi sanitari”.

Inoltre Trecca, riferendosi ai medici di medicina generale, “parlava di medicina convenzionata superando quella distinzione fra pubblico e privato, in quanto una struttura convenzionata ha diritti e doveri che permettono di garantire uno standard di prestazioni, ed è  sottoposta a un controllo da parte dell’amministrazione pubblica”.

La pandemia ci ha insegnato che “serve una maggior integrazione con le strutture pubbliche”. La proposta di Farnetani è di ripristinare i distretti socio-sanitari e il medico di comunità come strumento di raccordo fra medici di famiglia e del territorio e istituzioni sanitarie di riferimento.

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