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Lobbying, suggerimento a media e politici

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Molto è stato scritto di recente, da parte di numerosi addetti ai lavori, in merito alla confusione generata da parte dei media e della politica sul ruolo dei lobbisti. Lo scandalo del Qatargate ha proiettato ancora una volta un’ombra negativa su chi si occupa di lobbying e la responsabilità è, almeno in parte, dovuta all’assenza di conoscenza dei meccanismi professionali che regolano generalmente queste attività. Ciò è di tutta evidenza poiché i veri professionisti di questo settore (fortemente in crescita) sono profondamente consapevoli di come l’autorevolezza del loro operato sia direttamente proporzionale alla correttezza dei comportamenti associati. La corruzione, il malaffare o i comportamenti illegali rappresentano dunque il più grande impedimento allo svolgimento di una carriera in questo ambito.

Occorre aggiungere poi come non esista un lobbismo lecito e uno illecito. Solo il primo tipo può essere contemplato poiché è un esercizio di dialogo previsto e trasparente verso le istituzioni, o le aziende, per poter promuovere o no ad esempio un determinato messaggio.

Come è noto le lobby sono gruppi di pressione che, in nome di interessi economici precisi o cause politiche di vario impatto, cercano di influenzare dall’esterno le deliberazioni delle istituzioni pubbliche. Ora bisogna essere chiari: le lobby sono realtà importanti, necessarie e legittime in ogni paese democratico. Il loro impulso è propedeutico ad apportare contributi informativi e costruttivi a parlamentari e politici. Poiché ogni democrazia basa le proprie fondamenta sulle leggi è giusto che i parlamentari ricorrano a informazioni e competenze esterne, anzi spesso è inevitabile, come affermava l’ex Presidente degli USA Jimmy Carter nel 1979 a favore dell’attività di lobbying.

Questo in grande sintesi il perimetro di azione etico e trasparente entro il quale si muovono i professionisti che si occupano di lobbying. Tutto il resto è malaffare, operato illecito e corruzione. Andrebbe quindi chiamato diversamente.

Ora, cosa è necessario apportare affinché si generi chiarezza intorno a questo strategico settore? Per essere corretta nei suoi intenti l’azione delle lobbies deve essere sottoposta a controlli e a vincoli di pubblica trasparenza come avviene nel mondo anglosassone e generalmente in UE. Come è noto sebbene sia nato nel parlamento inglese il lobbying ha finito per indicare maggiormente l’attività dei rappresentanti di vari interessi negli Stati Uniti, dove il fenomeno ha trovato la sua massima realizzazione e disciplina attraverso alcuni strumenti giuridici che ordinano la materia. Sarebbe auspicabile conformarsi al più presto a queste regolamentazioni anglosassoni – seppur con tutti i limiti del caso – creando ad esempio un registro obbligatorio dove inserire dati, progetti e iniziative associate ad un determinato professionista o gruppi di interesse. Senza necessità di istituire un ulteriore albo e prestando doverosa attenzione, come ha ribadito il Presidente Fontana, alle ingerenze di potenze straniere sul processo decisionale nazionale e quindi sull’attività di parlamentari ed ex-parlamentari.

Dunque una seria legge che chiarisca e metta ordine nei rapporti tra decision makers e portatori di interessi è urgente, come da anni raccomandano gli organismi internazionali e molti addetti ai lavori. In Italia poi tutto ciò è acuito, in termini negativi, dal buco normativo derivante dall’introduzione del reato di traffico di influenze illecite.

Quest’ultimo ha tracciato dei labili confini su cosa si possa e non si possa compiere nella rappresentanza di interessi, creando spesso anche problematiche comportamentali, indecisioni e dubbi a chi si occupa di relazioni esterne o relazioni istituzionali.

Concludendo, in attesa di un provvedimento strutturale il cui obiettivo primario dovrebbe essere quello di migliorare i processi decisionali e fare chiarezza intorno all’azioni di lobbying, sarebbe forse meglio chiamare questa attività – come direbbe Stefano Lucchini – semplicemente advocacy.

*Marcello Presicci, giornalista professionista e senior advisor di aziende e fondazioni, insegna Lobbying in UE presso la Luiss Business School.  È fondatore della Scuola Politica ‘Vivere nella Comunità’ e presidente di due advisory board (Fondazione sull’Educazione Finanziaria e Fondazione Sandretto Re Rebaudengo)

 

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