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Km0, ma attenzione a non esagerare

Negli ultimi 10 anni la quota italiana sull’export globale di merci è rimasta più o meno stabile, intorno al 2,75%. Un risultato non da poco: perché ha interrotto un declino che sembrava inarrestabile, e perché è stato ottenuto nonostante tanti nuovi Paesi – molto popolosi – si vadano guadagnando quote crescenti nell’interscambio mondiale.

Anche tra gli esportatori italiani c’è chi ha fatto meglio e chi ha fatto peggio. Spicca in particolare l’eccellente performance del settore “prodotti alimentari, bevande e tabacco”. Le esportazioni hanno raggiunto i 44 mld, e superano le importazioni di ben 12 mld. In questo settore la quota italiana sull’export globale è in crescita da dieci anni, e ha raggiunto il 4,4%. Nel mondo si mangia, si beve (e si fuma) sempre più italiano. Certo non saremo noi a dolercene: quel saldo positivo di cui si è detto comporta almeno un centinaio di migliaia di italiani che trovano un lavoro e ne ottengono un reddito.

Eppure anche da noi va affermandosi l’ideologia del ‘chilometro zero’: sarebbe bene che tutti consumassero, in particolare nel settore alimentare, prodotti che hanno percorso poca strada, che vengono venduti in prossimità del luogo di produzione.

Un’ideologia con un’origine nobile: ridurre i consumi energetici che spostare le merci inevitabilmente comporta, e così tutelare meglio l’ambiente.

Ma un’ideologia che tende a trascurare gli effetti collaterali: se tutti l’adottassero, l’Italia dovrebbe rinunciare a quel centinaio di migliaia di posti di lavoro legati al suo surplus nell’agro-alimentare.
E ignora le alternative: il consumo energetico per tonnellata di merce trasportata può essere ridotto dall’innovazione tecnologica (come in effetti sta avvenendo), l’anidride carbonica immessa nell’aria si può catturare, etc.

Ne esiste persino una versione infantile, da anime belle: noi consumeremo prodotti a chilometro zero, ma gli altri continuino a mangiare la nostra pasta e a bere la nostra grappa. Come se violare il precetto “non fare agli altri quel che non vorresti fosse fatto a te stesso” non avesse evidenti ricadute pratiche, oltre che morali.

Ciascuno – e ci mancherebbe – può pensarla come crede. Ce lo ha ricordato persino Roberto Benigni a Sanremo. Onestà intellettuale però vuole che nel dibattito pubblico vengano illustrati non solo i pro, ma anche i contro delle proposte di cui si discute, e che vengano considerate le alternative ragionevolmente possibili. Quel che nelle perorazioni del ‘chilometro zero’ non sembra avvenire.

Di questa ideologia, declamata con altre parole, sembra un po’ prigioniero anche il Governo Meloni. Avere pomposamente rinominato il ministero dell’Agricoltura aggiungendo la “sovranità alimentare”, il ministero delle Imprese aggiungendo “del made in Italy”, trascura il “non fare agli altri quel che non vorresti fosse fatto a te stesso”.
Guardare ai dati dell’interscambio, in particolare nel settore alimentare ma non solo, aiuterebbe a riconoscere che trascurare quel precetto non giova al tanto declamato “interesse della Nazione”.

 

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