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Lobbying: poche norme – ma buone – per la rappresentanza di interessi

Francesco Clementi

Francesco Clementi

In una visione della società di tipo aperta e pluralistica, che affronti cioè il tema della rappresentanza di interessi tanto in senso orizzontale, al fine di qualificare il rapporto tra i soggetti della rappresentanza sociale, quanto in senso verticale, per delimitare il rapporto tra i vari portatori di interesse nell’ambito di un sistema ordinamentale multilivello, è ormai davvero il tempo di affrontare una normativa che consenta anche al nostro Paese un pieno e riconosciuto esercizio della rappresentanza di interessi – il c.d. lobbying; mettendo appunto ordine nella situazione attuale che, in assenza di una legislazione in tema, ci rende pressocché un unicum nel panorama delle democrazie stabilizzate.

Il percorso, in fondo, non è particolarmente difficile se letto nella giusta prospettiva.
Cosa serve? Innanzitutto bisogna favorire la scrittura di poche norme ma buone, cioè efficaci a rispondere ai problemi ma anche ispirate al tempo stesso ad una logica premiale, che favorisca insomma la loro pratica e non invece la loro elusione in ragione di un eccesso di ingiustificata burocratizzazione. In questo senso andrebbero privilegiate norme che favoriscano un registro obbligatorio per tutti coloro che agiscono nell’ambito della rappresentanza di interessi; che promuovano un sistema di premialità che incentivi e stimoli – anche grazie agli strumenti tecnologici e digitali – la massima trasparenza e conoscibilità democratica; che stabiliscano un pieno equilibrio in diritti, ma anche in doveri, non soltanto tra gli stessi rappresentanti di interessi particolari, quanto – se non innanzitutto – tra il decisore politico e il
rappresentante di interesse. Questi ultimi infatti devono essere considerati parti contraenti di uno stesso patto: quello di rendere la nostra democrazia più efficiente perché al tempo stesso più trasparentemente responsabile.

Impostata allora così, secondo queste linee di indirizzo, si verrebbe dunque a superare anche quella diffidenza culturale che alberga nella nostra società, sempre pronta ad evidenziare gli aspetti patologici in un confronto tra interessi, in quanto letti alla luce di uno “scambio”, vissuto sempre e a prescindere come torbido e negativo.

Si può e si deve invece uscire da questa prospettiva culturale, non da ultimo perché essa trova al suo insito una evidente ipocrisia di fondo, ossia che le democrazie, che per loro natura sono aperte e pluralistiche, sono tali proprio perché fanno scontrare sempre, in modo poliarchico, gli interessi tra loro, mettendoli appunto in contrapposizione. E la loro forza democratica sta appunto nel farli emergere in modo trasparente dentro un sistema fatto di mercato, concorrenza e appunto regole: quelle che a noi evidentemente ancora mancano, e che invece abbisogna quanto prima arrivare a definire.

Peraltro, proprio il nostro essere “fanalino di coda” rispetto alle esperienze di altri Paesi europei e non di democrazia consolidata, ci dà un’ulteriore opportunità, ossia quella di affrontare anche quegli elementi che in tema solo apparentemente possono apparire “di frontiera”, quali il lobbying digitale e quello più generale sui social media. Infatti queste due tipologie di rappresentanza di interessi privati sono al contrario il terreno e la prospettiva più intensa che il nostro orizzonte già definisce, e che meritano appunto tutta quella attenzione che già in tanti, a partire dall’Unione europea, già le attribuisce.

Dunque, che non si abbia timore di affrontare la realtà per quella che è, compreso i numerosi conflitti di interesse tra società di lobbying, advocacy e comunicazione, in un pericoloso intreccio che rischia di soffocare in culla qualsiasi riforma che si potrà fare. E che allora si faccia ciò con tutto il buon senso e la misura che serve, evitando di perdere l’ottima occasione che sembra dischiudersi di fronte a noi, a maggior ragione tenuto conto dell’importante Indagine conoscitiva in tema, che è stata meritoriamente aperta presso la Commissione Affari costituzionali della Camera dei Deputati.

Insomma, il tempo è ora. Che lo si usi con intelligenza, ascolto e tanta (tanta) consapevolezza.

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