Aggressioni nelle scuole, l’analisi della pedagogista

Antonella Elena Rossi
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Se un brutto voto si trasforma in un detonatore. Gli episodi che riempiono le cronache, anche di questi giorni, relativi ad episodi di aggressioni nelle scuole, a solitudini accentuate dalla paura di sbagliare, addirittura ai tentativi di suicidio, suonano come un chiaro campanello dall’arme. Cosa sta succedendo ai nostri ragazzi? Cosa sta accadendo al nostro futuro? Fortune Italia lo ha chiesto ad Antonella Elena Rossi, pedagogista e psicologa.

Docenti aggrediti in episodi di aggressività che, da Nord a Sud, sembra contagiare gli istituti scolastici. L’ultimo caso, quello del ragazzo che ha accoltellato alle spalle una docente. Cosa sta succedendo?

Non possiamo liquidare questo fenomeno sottovalutando e non riconoscendo in tempo i campanelli d’allarme, magari a partire da piccoli segnali di comportamento e di linguaggio. Perché il disagio viene quasi sempre mascherato, a parte alcune situazioni nelle quali assume invece forme trasgressive estreme. Quasi a dire di una non sopportabilità del dolore esistenziale. Un dolore esistenziale che deriva da un’esperienza che i bambini fin da piccoli devono fare: l’esperienza del limite. Non si può passare il messaggio che tutto è permesso e poi sperare che da adulti questi ragazzi si autodisciplinino, non si può comunicare ai bambini che sono al centro del mondo e poi catapultarli in un mondo che, giustamente, li mette alla prova.

La resilienza, la capacità di affrontare le difficoltà, si costruiscono fin da piccolissimi e se i bambini non interiorizzano queste abilità arriveranno all’adolescenza senza una struttura che li aiuti ad affrontare difficoltà e frustrazioni. Per cui, cari genitori, finitela di scusarli, di accompagnarli, di sminuzzargli la vita. I bambini hanno bisogno di sapere che ce la faranno anche senza di voi a rialzarsi dalle cadute.

Intanto gli episodi di violenze nelle scuole si moltiplicano. Insieme ai casi di giovanissimi in crisi per un cattivo risultato scolastico. 

In pedagogia si dice che un genitore ha fatto bene il proprio lavoro quando diventa inutile per il proprio figlio. Noi invece creiamo dipendenza affettiva, emotiva non li lasciamo andare, non gli diamo gli strumenti per mandarli sicuri per il mondo. La scuola e tutta la comunità deve capire l’origine e arginare questo fenomeno, ci sono due grandi fattori da tenere presente, il primo: i ragazzi non sono educati fin da piccoli al fallimento, ogni crisi e caduta viene vissuta come una catastrofe. Ma la crisi è una benedizione, come asseriva Einstein. Dobbiamo ritornare ad adulti e genitori che aiutino i ragazzi ad affrontare gli ostacoli, non ad aggirarli, i famosi genitori spazzaneve, che rimuovono sofferenze ed ostacoli dalla vita dei propri figli.

Pensiamo a forme di isolamento e di riduzione dell’impegno scolastico, sportivo, di lavoro. Ma anche al cambiamento d’umore, a una comunicazione confusa, non sempre comprensibile.
 L’abbandono scolastico è tornato a far paura, anche in Veneto. Un’epidemia più silenziosa di quella da Covid-19. Resta che, al dunque, gli adolescenti ci parlano, anche se per lo più indirettamente. Forme indirette di richieste di aiuto.

Come interpretare certi segnali?

Si tratta di avere sempre l’accortezza e il garbo, quando le situazioni si fanno problematiche, di aiutarli ad aiutarsi, anzitutto a chiedere aiuto, superando il possibile senso di pudore o di vergogna. Chiedere aiuto è già un passo in avanti, perchè indice della volontà di ricerca di una possibile salvezza. Anche la scuola può fare la sua parte. Ma non si può improvvisare. Ci vogliono persone competenti e capaci di dialogo. Ogni scuola, del resto, ha il suo consulente psicologico, il quale può incontrare i docenti, entrare nelle classi.
 La pandemia, ce lo siamo ripetuti tante volte, ci ha cambiati un po’ tutti.
 Ed è stata la salute mentale degli adolescenti, anzitutto, ad avere sofferto in questi due anni problematici.

Lo psicologo a scuola è sufficiente?

Non solo lo psicologo a scuola è indispensabile, ma serve un’equipe di educatori, pedagogisti che costruisca progetti di resilienza, di capacità al superamento del conflitto, al contenimento della rabbia. La scuola deve ripensare ai propri percorsi: i ragazzi non sono i voti che prendono, ma è ciò che loro fanno che viene valutato, e questo deve essere molto chiaro. I voti molto bassi condannano i ragazzi ad arrendersi, chiediamoci che senso ha dare un tre in una verifica: perché lo facciamo qual è il nostro obiettivo, la resa?

“Se si perdono i ragazzi difficili la scuola non è più scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati”. Lo diceva Don Milani e credo che questa sia la vera sfida, una scuola e una comunità che cominci a domandarsi quale futuro vogliamo per la nostra società. Smarrire i ragazzi vuol dire smarrire il futuro.

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