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Fisco benevolo nelle successioni

Natale D'Amico

Natale D'Amico

Circa un secolo fa Filippo Turati così ammoniva i suoi colleghi socialisti: la piccola proprietà contadina non sembra voglia farci il favore di scomparire. Lo stesso potrebbe dirsi oggi delle imprese a controllo familiare. Troppo spesso viste come una sorta di residuato anacronistico di una fase più arretrata dello sviluppo,
ma che invece continuano a costituire una quota importante, addirittura preponderante, del sistema delle imprese anche nelle economie più sviluppate.

Secondo quanto risulta dalle meritorie ricerche dell’Osservatorio AUB (promosso da Aidaf, da UniCredit, dalla Università Bocconi e dalla Camera di Commercio di Milano), il valore aggiunto delle imprese a controllo familiare con oltre 20 mln di fatturato è superiore a un quarto del Pil italiano, e la percentuale tende ad aumentare.
Il numero di queste imprese cresce, come cresce il numero delle persone occupate presso di loro.

Il peso delle imprese familiari è dello stesso ordine di grandezza negli altri Paesi europei. Dunque le imprese familiari sono con noi e non intendono lasciarci, vien da dire per fortuna visto il loro peso economico.

L’impresa familiare pone un problema specifico legato alla successione nei titolari del controllo, che ovviamente non si pone nelle imprese a controllo diffuso o nella quali hanno un peso preponderante i gestori di fondi.

Questo problema è acuito nel contesto italiano dal fatto che nelle nostre imprese non è familiare solo il controllo societario ma, più che altrove, spesso appartiene alla famiglia anche buona parte del management.

Ovviamente sta agli imprenditori programmare e organizzare per tempo la successione aziendale. Si tratta di un’attività faticosa, spesso costosa, che può presentare aspetti spiacevoli. Tuttavia è un’attività necessaria: sappiamo come le successioni aziendali non programmate bene e per tempo rischino di tramutarsi in disastri economici.

Per una volta, il fisco italiano è benevolo: nella sostanza prevede un’esenzione dalle imposte nel caso in cui il familiare che subentra nel controllo dell’impresa si impegni a continuarne l’attività per almeno cinque anni. Anche altri Paesi sviluppati prevedono forme agevolative per la successione d’impresa; in questo caso il fisco italiano è più generoso degli altri.

Sono diffuse le pressioni volte a irrigidire il regime attuale. Pressioni esercitate da chi crede che – per parafrasare Turati – se l’impresa familiare non vuol farci il favore di scomparire, allora deve essere lo Stato a spingerla verso la scomparsa. Bene ha fatto il Governo, nel presentare il suo disegno di legge delega per la riforma fiscale, a ignorarle. C’è ora da sperare che anche il Parlamento si dimostri in grado di resistere.

 

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