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Incendio Ospedale di Tivoli, criticità per due terzi delle strutture italiane

ospedale di Tivoli
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Tre anziani pazienti morti e circa 200 evacuati: l’incendio dell’Ospedale di Tivoli ha acceso i riflettori su due mali antichi delle strutture ospedaliere della Penisola: vetustà e incuria. “Quella di Tivoli è un po’ una cronaca di una ‘strage’ annunciata, ma il problema riguarda tutto il comparto infrastrutturale, che da anni ha bisogno di un adeguamento. In questo senso i fondi del Pnrr per l’edilizia sanitaria rappresentano un’occasione da non perdere”. Parola di Pierino Di Silverio, segretario Anaao-Assomed che, analizzando la videnda di Tivoli con Fortune Italia, aggiunge: “Sugli ospedali si è fatto ancora davvero poco, ci si sta concentrando sul territorio”.

“Il fatto è che quello che è successo a Tivoli domani potrebbe accadere in altri luoghi: quasi i due terzi delle strutture ospedaliere italiane hanno bisogno di una riorganizzazione infrastrutturale e tecnologica. Gli ospedali – sottolinea il medico – vanno resi luoghi sicuri”.

L’incendio all’ospedale di Tivoli

Intanto sulla vicenda la Procura di Tivoli ha aperto un fascicolo a carico di ignoti per omicidio colposo plurimo ed incendio colposo, mentre alcune aree dell’ospedale sono state sequestrate per le indagini. I due reparti più danneggiati sono quello di medicina d’urgenza e il pronto soccorso, anche se il fumo è arrivato un po’ ovunque, come ha spiegato il direttore della Asl Roma 5, Giorgio Santonocito. 

E i pazienti? La Regione Lazio ha messo a punto un piano per sopperire alla chiusura della struttura, punto di riferimento per 400mila abitanti. Come riferisce l’Ansa, i 180 pazienti sono stati trasferiti in altre strutture e 17 sono stati dimessi. Gli ospedali di Colleferro, Palestrina, Monterotondo e Subiaco dovranno farsi carico dei pazienti di Tivoli, mentre per le urgenze si farà riferimento a Policlinico Umberto I, San Giovanni Addolorata e Ospedale Pertini di Roma. Per le gravidanze a rischio, invece, all’Umberto I si aggiungono l’Ospedale Gemelli-Isola Tiberina e il San Giovanni Addolorata.

Nell’area di Tivoli sarà predisposta una sede temporanea di punto di ‘Primo Intervento’ dotata di attrezzatura per l’assistenza rianimatoria e la diagnostica di I livello. Oltre a un punto di primo soccorso nella palestra comunale Maramotti.

Serve una visione

Secondo il segretario dell’Anaao Assomed la questione è ampia: “La presa in cura inizia dalla casa del paziente e finisce in ospedale: se ci concentriamo a guardare il dito anzichè la luna e ragioniamo a compartimenti stagni non andremo oltre le emergenze. Qui occorre rivedere tutto il paradigma delle cure: dobbiamo capire che funzione ha oggi l’ospedale e, in questa riorganizzazione, andrebbero ricollocati i piccoli presidi, che al loro interno presentano deficit infrastrutturali e carenze di personale, potenziando magari le strutture più grandi”, insiste Di Silverio.

“Una visione di sistema – dice il leader di Anaao Assomed – che ci auguriamo questo governo possa avere, a differenza di quelli che lo hanno preceduto”. Oltretutto il nosocomio di Tivoli era già finito sotto i riflettori (e non in positivo), come emerge dai dati Agenas. 

Il triste primato dell’ospedale di Tivoli

Il San Giovanni Evangelista è infatti uno degli otto ospedali peggiori ospedali in Italia per qualità delle cure, con un “volume di attività inferiore alla soglia (tolleranza del 10%) fissata dal regolamento riguardante la Definizione degli standard ospedalieri o desumibile dalla letteratura scientifica”, secondo gli ultimi dati Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, contenuti nel Programma nazionale esiti. Fra le prestazioni, figurano di livello basso quelle relative a gravidanza, parto e nefrologia. Di livello molto basso quelle relative alle aree osteomuscolare, di chirugia generale e chirurgia oncologica.

In coda a questa sorta di classifica italiana troviamo anche tre ospedali della Campania (Umberto I di Nocera Inferiore, Luigi Curto di Polla e Immacolata di Sapri), due della Sicilia (Vittorio Emanuele di Gela e V. Cervello di Palermo), uno in Liguria (Stabilimento Ospedaliero di Sanremo) uno in Piemonte (Ss. Pietro e Paolo di Borgosesia).

“Fino a prima del report Agenas non avevamo parametri di riferimento: oggi li abbiamo”, dice Di Silverio. “Ma dobbiamo anche capire cosa fare degli ospedali attenzionati e dei piccoli presidi”. Senza perdere altro tempo.

Un patrimonio che invecchia

Ogni anno, secondo il Rapporto Oasi 2021 dell’Università Bocconi, il Ssn spende circa 5,7 miliardi di euro per gestire il proprio patrimonio (tecnologie escluse). Con una sfida: quella della vetustà: l’82% delle costruzioni è stato realizzato prima del 1990, il 58% prima del 1970. “La prima delle due percentuali è particolarmente rilevante se si considera che è con la L.10/1991 che si comincia a disciplinare in modo significativo l’uso razionale dell’energia – dicono gli esperti della Bocconi – Anche in questo caso si osserva una certa eterogeneità interregionale, con Ssr che vantano una quota di costruzioni realizzate dopo il 1990 decisamente superiore alla media nazionale (Umbria, 42%5; Calabria, 31%) e altri in cui la parte preponderante delle unità immobiliari è stata realizzata prima del 1946 (Liguria, 59%; Marche, 47%)”.

Strutture vecchie, in cui anche l’adeguamento ai nuovi standard appare in salita. Tanto che, come sostiene all’Ansa il presidente Fiaso Giovanni Migliore, un ospedale su tre in Italia non è riuscito ad adeguarsi alle norme antincendio introdotte nel 2015 e prorogate più volte.

Il futuro delle cure

Di Silverio ha le idee chiare: “Noi pensiamo che l’ospedale debba ridiventare un luogo di cura, che la diagnostica di primo livello debba essere riorganizzata a livello territoriale, con un intervento sulle strutture e gli operatori e, magari, una riconversione dei piccoli presidi. Detto ciò – conclude – i grandi ospedali vanno resi luoghi sicuri”. Dopo Tivoli è emersa tutta l’urgenza di questi interventi, per i pazienti e per gli operatori che ci lavorano ogni giorno.

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