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L’equilibrio tra digitale e cultura

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Rossella Calabrese*

Nell’era in cui la programmazione e gli algoritmi sono i linguaggi dominanti, emerge una domanda provocatoria: “Perché imparare il latino o conoscere la filosofia in un mondo guidato dalla tecnologia?”. Davide Bennato, nel suo saggio sulla sociologia dei media digitali, offre una risposta incisiva: la programmazione priva delle radici del latino diventa una mera routine, mentre gli algoritmi senza la saggezza della filosofia sono macchine cieche, potenzialmente pericolose.

Negli ultimi anni, il panorama aziendale è stato radicalmente trasformato dalla digitalizzazione, spingendo le organizzazioni a rincorrere la velocità dei dati e tecnologie avanzate come l’intelligenza artificiale, il cloud computing e l’IoT. Questo ha inevitabilmente favorito una crescente domanda di professionisti con competenze tecniche specifiche che aiutassero le organizzazioni a rispondere alle esigenze “hic et nunc”.

La semplice competenza tecnica non è sufficiente. Le organizzazioni hanno bisogno di risorse capaci di comprendere i motivi e le dinamiche del comportamento umano anche attraverso l’analisi dei contesti politici ed economici. L’ossessione per i dati può portare a conseguenze negative se priva di una comprensione profonda della cultura, del settore in cui si opera e delle evoluzioni del comportamento. Non è l’ammontare dei dati raccolti a fare la differenza, ma la capacità di interpretarli all’interno di un contesto più ampio. Viviamo in un’epoca caratterizzata da sfide complesse, dove la contaminazione tra diverse forme di conoscenza, competenze e storie è fondamentale. Le risorse umane diventano gli architetti di nuovi modelli organizzativi che integrano competenze tecniche specialistiche con dimensioni umane trasversali. Questo approccio è cruciale per affrontare in modo efficace le sfide sociali e tecnologiche contemporanee, richiedendo una comprensione critica del loro contesto umano.

In questo contesto, un altro aspetto cruciale emerge: la rilevanza della conoscenza e dell’interpretazione degli scenari geopolitici ed economici internazionali. In un mondo globalizzato, le decisioni aziendali non possono prescindere dalla comprensione dei complessi equilibri e dinamiche che regolano le relazioni internazionali. Le aziende devono essere consapevoli di come le tensioni geopolitiche, le alleanze, i cambiamenti di governo e le politiche economiche globali possano influenzare direttamente il loro operato. La capacità di interpretare questi scenari non solo aiuta a mitigare i rischi, ma apre anche a nuove opportunità di mercato e collaborazione internazionale. L’abbinamento tra cultura umanistica e competenza digitale, pensiero critico e pensiero computazionale, può portare grandi benefici alle aziende. Non si tratta solo di equilibrare “hard skills” e “soft skills”, ma di creare un ambiente in cui la tecnologia è guidata da una profonda comprensione umana. In questo modo, le organizzazioni non solo prosperano nell’attuale paesaggio digitale, ma contribuiscono anche a una società più equilibrata e consapevole.

La lezione che possiamo trarre da queste riflessioni è chiara: le organizzazioni che riconoscono e valorizzano l’importanza della cultura umanistica, accanto alla tecnologia, sono quelle meglio attrezzate per navigare e avere successo nel complesso mondo di oggi. La sintesi di questi due mondi non è solo auspicabile, ma fondamentale.

 

*Ad Treccani Accademia

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