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La difesa comune europea: necessaria ma difficile

A giugno prossimo gli elettori europei voteranno per eleggere il loro Parlamento comune. In passato queste elezioni sono state poco più di un grande e costoso sondaggio sulla popolarità dei governi nazionali. Troppo lontane le istituzioni europee dal comune sentire dei cittadini; troppo labili i cosiddetti partiti europei per essere strumenti effettivi di mobilitazione su proposte politiche riguardanti l’intera Unione.

Anche questa volta rischia di andare così. Ma non è un bene. L’Unione è di fronte a scelte storiche ineludibili; sarebbe bene che gli elettori fossero chiamati a pronunciarsi su queste scelte.

La prima di tutte è la cosiddetta difesa comune europea. Fin qui noi europei abbiamo fatto conto sull’ombrello statunitense. Fu decisivo in entrambe le due guerre mondiali; ancora più decisivo nel corso della guerra fredda. All’ombra di quell’ombrello abbiamo potuto mantenere in piedi eserciti buoni più a far parate che a far la guerra. Con una spesa ridotta, e per di più inefficiente.

Le relazioni transatlantiche devono essere mantenute, rafforzate, intensificate. Sul piano economico, diplomatico e culturale. C’è molto di più che unisce l’Europa agli Usa rispetto a quel che la unisce a qualunque altra parte del mondo. Ma non possiamo ignorare il fatto che gli Usa sono in una di quelle ondate isolazioniste che attraversano tutta la loro storia. Non è solo questione di chi vincerà le prossime elezioni presidenziali. La nuova fase isolazionista americana è iniziata almeno dalla presidenza Obama, ormai 15 anni fa. Se ne sono ben rese conto quelle sezioni filo-occidentali delle classi dirigenti del Medio Oriente, che sono state sostanzialmente abbandonate al loro – spesso infelice – destino. Dall’Afghanistan alla Siria, dall’Iraq all’Egitto.

Dunque, mentre coltiva i rapporti transatlantici, l’Unione deve porsi il problema della propria difesa.

Il che è anche una questione di risorse finanziarie: se spenderemo di più per la difesa, avremo meno risorse per fare altro. Decidere cosa sia quest’altro è difficile e può essere doloroso. L’emissione di debito comune non è la panacea di tutti i mali. Ma è soprattutto una questione che investe la natura e il modo di funzionamento delle istituzioni europee. Alle ‘scuole di guerra’ da tempo immemorabile nella prima lezione si insegna che un cattivo comandante è meglio di due buoni comandanti. È evidente che la difesa europea non potrebbe essere costruita con 27 comandanti, uno per ciascuno degli Stati associati, e di cui almeno qualcuno non sarebbe affatto un buon comandante.

Inoltre, come ripete l’insospettabile leader storico dei verdi tedeschi Joschka Fisher, la difesa europea sarebbe priva di senso se non potesse contare su un deterrente nucleare. Un tabù tanto difficile da superare che si preferisce non parlarne. Il che pone con ancor maggiore drammaticità il tema dell’unicità del comando: per usare un’immagine, qualcuno deve pur portare con sé la valigetta con i codici nucleari.

Ci sarebbe tanto di cui discutere, tanto su cui interrogare i cittadini e proporre loro soluzioni, ciascuna delle quali non sarebbe poi affatto facile da realizzare.

Per ora sembra il solito andazzo. E non aiutano le chiacchiere su improbabili politiche industriali o su irrealistiche, gigantesche, emissioni di debito comune. Thomas Hobbes avrebbe detto ‘Primum vivere, deinde philosophari’.

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