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Il 2 giugno e la sfida di una nuova ricostruzione

Il 2 giugno di settantacinque anni fa gli italiani, che iniziavano a immaginare e a progettare la ricostruzione di un Paese pieno di macerie e pressoché distrutto, innanzitutto ne definivano con referendum la sua forma istituzionale, cioè la forma repubblicana; scegliendo così, a chiusura di un periodo dolorosissimo della nostra storia di giovane Paese unito, di non essere mai più sudditi di qualcuno, ma solo – se così si può dire – cittadini di una comunità di liberi ed eguali.

LA FORMA REPUBBLICANA – che non a caso la Costituzione poi approvata prevede esplicitamente all’art. 139 “non può essere oggetto di revisione costituzionale” – vinse il referendum come noto con oltre due milioni in più di elettori rispetto a quella monarchica (precisamente: 12.717.923 vs. 10.719.284), dando così plastica rappresentazione che la ricostruzione dalle macerie puntava dritta a marcare il profilo di un’Italia unita di tipo nuovo, cioè di diversa grana e tempra.

Un’Italia capace di disegnare il suo futuro, pur tra continuità in parte inevitabili, verso un comune destino più aperto, civile, democratico appunto, rispetto a quello che l’indipendenza nazionale allora conquistata con il Risorgimento non aveva potuto darle, ossia una libera democrazia interna.

Riconquistata quindi la propria indipendenza rispetto al fascismo che le era nato in seno, innanzitutto grazie alla Resistenza, e calata dentro la libertà che è essa stessa l’altra faccia dell’indipendenza, davvero settantacinque anni fa si poté quindi – memori del passato e consapevoli dei rischi di un’indipendenza senza democrazia – dare allora alla parola sovranità quella densità vera, che essa concretamente incorpora, ossia la piena libertà da ogni giogo tanto esterno quanto interno.

E fu subito costruzione allora, prima che ricostruzione. E anche se non tutto fu fatto da soli, perché senza il Piano Marshall statunitense e l’aiuto degli altri Alleati, quello che poi venne definito il “miracolo italiano” sarebbe stato davvero difficile da costruire, il nostro Paese uscì tuttavia da quella prova compatto, unito e vincente. Divenendo nel mondo, non per caso, uno dei grandi.

Oggi, settantacinque anni dopo, inutile dire che, da un lato, non sono mancati attriti, frizioni, momenti aspri, aperti scontri, quelli propri insomma di una politica democratica e popolare che trova i suoi fisiologici assestamenti pure non senza potenti sussulti, dall’altro che non tutte le prove sono state superate, a maggior ragione se viste alla luce del dramma mondiale della pandemia Covid, che ha scosso le vite di tutti noi in questo ultimo anno.

Quali sono i punti principali dei nostri problemi che sono oggi, a distanza di un quarto di secolo repubblicano, venuti al pettine?

Quelli ben evidenziati nelle cifre e nei progetti del piano italiano per il Next generation Eu: un sistema infrastrutturale fragile, vecchio e poco capillare; un assetto burocratico-istituzionale poco agile, tanto gonfio quanto vuoto; un sistema giustizia, costruito più sui veti che sul controllo; una politica incapace, al dunque, di esprimere una visione di Paese, ma che vive invece per lo più dentro una delegittimazione reciproca, tanto ridicola quanto antistorica.

Se ha dunque un senso celebrare, settantacinque anni dopo, il 2 giugno (e con esso la nascita dell’Assemblea costituente – inutile dirsi!), lo è perché quel voto di allora chiama tutti noi a confrontarsi, ancora una volta, con la sfida di una nuova ricostruzione.

Ricominciamo quindi a ricostruire l’Italia dalle macerie etiche e materiali che l’aggravano, anche in ragione di una pandemia che ha distrutto la speranza per il futuro prima che il lavoro di tanti.

E a farlo entrando in una nuova storia senza tentennamenti: quella di una Repubblica che sceglie la dinamica europea come spazio domestico del proprio agire, che sceglie il rafforzamento di un’Unione più federale come orizzonte nuovo per la stessa Repubblica italiana, che definisce insomma il suo nuovo essere Repubblica dentro la sfida di un nuovo essere Unione europea.

La premiership (e la leadership) di Mario Draghi, anche in questo senso, ci possono dare davvero una mano importante. Quella che serve, ieri come oggi appunto, per continuare sulla buona strada disegnata allora dagli italiani: quelli che con il loro voto, per la prima volta fatto non solo da uomini, scelsero anche per noi la Repubblica democratica.

La versione originale di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di giugno 2021. Ci si può abbonare al magazine mensile di Fortune Italia a questo link: potrete scegliere tra la versione cartacea, quella digitale oppure entrambe. Qui invece si possono acquistare i singoli numeri della rivista in versione digitale.

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