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Centri commerciali, un motore da 140 mld

Nel 2018 l’Industria dei Poli Commerciali ha registrato un fatturato di 71,6 miliardi di euro. Questo valore rappresenta l’effetto diretto, ascrivibile alle spese sostenute dai visitatori e acquirenti. A fronte di questo fatturato i poli Commerciali hanno attivato – tramite l’acquisto di beni e servizi– rapporti di fornitura lungo la filiera collegata per un valore di 54,1 miliardi di fatturato. L’insieme degli effetti diretti e indiretti hanno quindi prodotto un fatturato di quasi 126 miliardi di euro e attivato 3 categorie economiche (agricoltura, manifattura industriale e servizi) e 63 settori economici. L’insieme degli spill over economici generati dall’Industria dei Poli Commerciali si attesta a complessivi 139,1 miliardi di euro. Sono i dati emersi da uno studio “Industry dei Poli Commerciali in Italia. Tra filiera e ruolo sociale” effettuato da Nomisma e presentati dall’amministratore delegato della società, Luca Dondi, durante una conferenza promossa dal Consiglio Nazionale dei centri commerciali. “L’Industria dei Poli commerciali conta su una rete di 587 mila occupati diretti, pari al 2,3% della forza lavoro nazionale e al 29,6% dei lavoratori occupati nel settore del commercio – spiega in quest’intervista a Fortune Italia l’amministratore delegato di Nomisma – Un valore da difendere e tutelare perché questi centri rappresentano un motore per la crescita economica dell’Italia”.

Eppure si parla di chiusure domenicali, di salario minimo per i dipendenti, di diritti sociali per i lavoratori…

Guardi dalla nostra ricerca emerge un ruolo rilevante in termini di dimensione economica, con gli occupati che eccedono le 780mila unità. Ma non solo questo, emerge anche una dimensione sociale, di attivazione e di aggregazione che va oltre l’aspetto puramente legato alla natura fiscale, perché i poli commerciali organizzati rappresentano una opportunità che va oltre il mero aspetto economico.

Ma non è un po’ triste che il sociale alla fine sia finito nel centro commerciale…

Diciamo che è una forma di evoluzione, o per altri di involuzione, ma è comunque una caratteristica che i centri commerciali hanno assunto nell’economia del paese che non va sottaciuta o sottodimensionata perché si rischia di dare al centro commerciale solo una valenza economica quando invece ha assunto un ruolo di integrazione, di offerte e di opportunità. Lascio poi alla valutazione del singolo se questo sia triste o meno è comunque un elemento connotante di questa industria.

Dalla vostra analisi emerge che il 40% del fatturato è nei week end, quindi le chiusure domenicali sarebbero un danno per questi shop center?

Sì il grosso del fatturato è concentrato nel fine settimana, soprattutto nel sabato e in modo significativo anche nella domenica. La ricerca ha voluto comunque dare un quadro complessivo e informato su queste realtà, poi sarà la politica a trarne le giuste conseguenze. Crediamo che ci fosse una sottovalutazione dell’importanza di alcuni fenomeni economici e sociali che abbiamo cercato di rimettere in fila.

Ci può fare qualche esempio?

La ricerca si è proposta in primis di dimensionare correttamente il settore sfatando il mito di una sovra-dotazione che nei fatti non esiste. La dotazione in termini di strutture e superfici è analoga a quella di altri Paesi europei come Francia e Spagna. Un altro obiettivo è stato quello di mettere in evidenza la forza di attivazione economica del settore – in grado di generare un impatto complessivo – diretto, indiretto e indotto – di oltre 139 miliardi di euro.

Cosa sono diventati allora i centri commerciali?

Certamente un importante punto di aggregazione per i cittadini che hanno identificato in essi, non solo un luogo dove fare acquisti, ma anche un hub dove vivere esperienze e passare momenti di intrattenimento. Nell’era in cui troppo spesso si assiste ad isolamento sociale, i centri commerciali diventano nuove piazze di aggregazione. La survey Nomisma – condotta su oltre 1.000 persone che hanno frequentato i centri commerciali nell’ultimo anno – ha indagato in profondità il ruolo relazionale che i poli commerciali svolgono per e nei territori in cui sono presenti. Quel che ne emerge è un unanime riconoscimento della capacità dei centri commerciali di rispondere alle esigenze dei cittadini, non solo tramite l’offerta commerciale – che rimane l’attività core e principale – ma anche attraverso la proposta di eventi e di servizi accessori (dentista, parrucchiera, …) fruibili ad orari flessibili – punto di forza per il 70% degli user dei centri commerciali – e in tutti i giorni della settimana.

Eppure si è sempre detto che i centri commerciali avrebbero portato alla desertificazione dei centri storici, oggi invece la lotta di questi poli è contro i giganti dell’e-commerce. Alla fine è sempre il mercato che detta le regole?

Sì è così. Forse si è stati un po’ affrettati quando si è detto che questi shop mall avrebbero danneggiato i piccoli centri urbani, in realtà era un fenomeno di riurbanizzazione che si è accompagnato ad esempio alla riqualificazione dei centri urbani dal punto di vista commerciale. È chiaro che i centri commerciali subiscono oggi una concorrenza dall’online e con la quale devono arrivare ad un punto di contatto e su questo si stanno attrezzando, proprio per non entrarvi in conflitto. Diciamo che hanno dalla loro la compente sociale e di contatto personale che va oltre al semplice acquisto dalla rete. Questo è il loro valore aggiunto che devono saper indirizzare al meglio.

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