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Petroliere nel Golfo Persico, parla Paolo d’Amico

Non siamo tornati ai tempi della guerra tra Iran e Irak, non c’è il timore che si scateni una nuova crisi petrolifera come quella che ne seguì, non fosse altro perché gli Stati Uniti, grazie alle tecnologie con cui estraggono lo shale oil, si sono resi autosufficienti. Questo stabilizza le quotazioni e il prezzo mondiale del barile. Ma i venti di guerra che soffiano tra l’Iran e gli Usa e, da qualche giorno, anche tra l’Iran e il Regno Unito, già oggi hanno un impatto sulle attività degli armatori che trasportano greggio e prodotti raffinati, 3 miliardi di tonnellate l’anno (2 del primo, 1 dei secondi), sulla flotta cisterniera mondiale. E in prospettiva potrebbero avere un effetto destabilizzante sulla stessa industria estrattiva, in particolare per i Paesi del Golfo Persico.

Paolo d’Amico lo spiega con modi pacati e voce tranquilla, ma non nasconde che le prime conseguenze dei recenti e inquietanti episodi che hanno coinvolto una petroliera norvegese e un’altra di Panama che trasportavano carichi legati al Giappone (sono state attaccate e evacuate), iraniane (sequestro di una unità a Gibilterra da parte degli inglesi) e inglesi (la ritorsione dei pasdaran con il tentativo di blocco sventato da unità da guerra britanniche) si fanno già sentire. Il presidente americano Donald Trump si è fermato sull’orlo del conflitto, richiamando appena dieci minuti prima gli aerei pronti a bombardare gli obiettivi in Iran.

“Oggi gli armatori hanno una certa riluttanza a entrare nel Golfo Persico e nello stretto di Hormuz – aggiunge subito d’Amico – Siamo preoccupati per la situazione che si è determinata, per la sicurezza dei nostri equipaggi e delle nostre navi. E anche per i costi aggiuntivi che dovremo sopportare: l’area è stata dichiarata zona di guerra e questo fa subito aumentare i premi assicurativi, i prezzi si alzano”.

Oltre che Presidente della d’Amico Società di Navigazione S.p.A., la capogruppo, e Presidente e Amministratore delegato della d’Amico International Shipping operante nel settore della navi cisterna, quotata alla Borsa di Milano nel segmento Star, dal novembre dello scorso anno Paolo d’Amico è Presidente della International Association of the Independent Tanker Owners (Intertanko), l’Associazione internazionale portavoce degli armatori di cisterne indipendenti, che conta 244 membri di più di 40 Paesi e rappresenta l’80% della flotta mondiale. Il suo è, quindi, un osservatorio privilegiato.

“Finora, in genere, gli iraniani colpivano i loro nemici, i sauditi, ma le altre bandire venivano rispettate – continua d’Amico – ora con questa escalation la minaccia si è allargata ad altre navi. Venendo all’ultimo episodio, è difficile stabilire se davvero pensassero di bloccare la petroliera inglese o se era solo un mostrare i muscoli. In ogni caso abbiamo già registrato una riduzione della flotta che opera nel Golfo, non tutti gli armatori continuano ad andare, ci sono meno navi disponibili”.

Come valuta d’Amico l’invito rivolto dal Pentagono e dalla Presidenza Trump ai Paesi dell’area e agli alleati di creare una coalizione per proteggere il traffico marittimo a Hormuz e nel Mar Rosso e fornire navi per prevenire attacchi da parte degli iraniani? “Saremmo felici se il progetto americano di organizzare una forza di protezione andasse in porto, abbiamo a cuore i nostri uomini, le nostre navi. E’ vero che proteggendole con le armi si possono creare ulteriori tensioni, siamo già andati molto vicini alla scintilla che può scatenare la guerra, ma la navigazione va resa sicura, a rischio ci sono prima di tutto le vite umane a bordo”.

Com’è ovvio a rischio sono anche i rifornimenti regolari all’industria della raffinazione per il consumo mondiale: circa un terzo del greggio passa dallo Stretto di Hormuz: “Se non fosse più transitabile sarebbe davvero un grosso guaio. Il flusso di crudo non si può interrompere, la materia prima va portata fuori”, insiste il presidente d’Amico.

Paesi come il Kuwait e emirati come Abu Dhabi sarebbero completamente bloccati, non hanno altre vie per far uscire l’olio che estraggono, e anche l’Irak, a parte la pipeline che va in Turchia, non avrebbe sbocchi: si ridurrebbero le quantità disponibili, verrebbe a mancare un pezzo importante del sistemadi fornitura mondiale. Che porterebbe, in prospettiva, anche ad un aumento del prezzo del barile, in un momento particolarmente delicato, visto che l’economia mondiale è già in rallentamento.

Oltre a d’Amico altri armatori italiani sono impegnati nel trasporto di greggio e prodotti raffinati: “Per ora stiamo tutti lavorando. Rimaniamo tranquilli anche se non nascondo che un po’ di nervosismo affiora. Ma siamo abituati a far fronte alle turbolenze mondiali”.

Allargando lo sguardo all’andamento più generale del settore, il presidente ricorda che le cisterne stanno uscendo da una grossa crisi, la peggiore dal 1929: “Ce ne siamo tirati fuori e ora ci prepariamo ad affrontare la più grossa rivoluzione ecologica della nostra storia”. La sfida è epocale. “Passeremo da carburanti con il 3,5% di zolfo a carburanti con appena lo 0,5%: è come se il pianeta uscisse dal diesel ed entrasse nell’era di un nuovo carburante, più costoso ma assai più pulito”, conclude Paolo d’Amico

Il gruppo d’Amico, fondato nel 1952, è tra i leader mondiali nel trasporto marittimo nei settori dry cargo e product tankers. Dispone di una tra le più importanti flotte a livello mondiale di navi portarinfuse a navi cisterne, con 110 unità controllate e ha uffici in più di 10 sedi nel mondo. Il Gruppo impiega oltre 330 dipendenti e coinvolge circa 3mila persone a bordo delle navi.

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