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Che succede nei porti italiani?

Prima Livorno, poi Ravenna. Ma anche Bari e Brindisi, Napoli, Gioia Tauro e qualche altro ancora. Probabilmente nel Nord Italia. Cosa sta succedendo nei porti italiani? Dal Tirreno all’Adriatico allo Ionio, è tutto un fiorire di notizie di inchieste aperte dalla magistratura, sugli illeciti più vari. Dall’inquinamento all’abuso di ufficio, agli appalti. Indagini che finiscono per sfociare, con cadenza impressionante, nell’interdizione dai pubblici uffici per un anno dei vertici delle Autorità portuali: presidenti, segretari generali, dirigenti apicali.

E’ successo un anno fa a Livorno, si è ripetuto in questi giorni a Ravenna. Una misura, l’interdizione, con la potenza devastante di una bomba, una vera e propria decapitazione, perché azzera le capacità decisionali del porto e lo condanna all’immobilismo. Una misura mai impiegata in passato per il genere di reati che vengono ipotizzati, e che oggi sembra diventata la norma.

Prendiamo Livorno. Il presidente, Stefano Corsini è stato messo forzatamente in panchina per un intero anno (con conseguente revoca dello stipendio), salvo poi rientrare nelle scorse settimane per decadenza dei termini, visto che sul procedimento non si è ancora arrivati a nessuna conclusione.

Prendiamo Ravenna: interdetti per un anno, il presidente Daniele Rossi, il segretario generale Paolo Ferrandino e il direttore, si sono visti reintegrare per vizio del procedimento (non erano stati sentiti dal giudice prima della misura cautelare) e dopo due giorni sono stati di nuovo interdetti.

A parte le sorti personali di presidenti e segretari generali, colpiti da “pene” pesanti prima ancora di essere giudicati colpevoli, in gioco c’è l’operatività dei porti, i loro investimenti, la capacità di reagire tempestivamente all’evoluzione del mercato e di cogliere le opportunità di traffico che si presentano. Di conseguenza, in ballo ci sono il commercio e l’import e l’export dell’Italia, il segno più del Pil nazionale.

Prendiamo di nuovo Ravenna, che ha appena dato il via libera al bando per il Progetto Hub, il piano da 250 milioni di euro che rivoluzionerà il porto, il più grande investimento che si realizzerà in uno scalo italiano: in conferenza dei servizi l’ha dovuto portare il commissario straordinario, Paolo Ferrecchi, direttore del Dipartimento Infrastrutture della Regione Emilia Romagna. Che, fortunatamente, il progetto lo conosce bene. Ma si è rischiato grosso.

Per altro, Daniele Rossi è il presidente di Assoporti, l’associazione che riunisce gli scali nazionali, anch’essa decapitata dalle decisioni dei giudici.

Come ha ben detto in un’intervista Gian Enzo Duci, presidente di Federagenti: “Nel silenzio assordante della politica si sta consumando una vera e propria carneficina nei porti e dei quadri dirigenti che dovrebbero guidarli in un momento, per altro delicatissimo, in cui le opportunità di ripresa potrebbero trasformarsi nel giro di poche settimane in clamorosi autogol. Oggi, e non è un paradosso, solo un manager con vocazione al martirio o un dirigente che non abbia nulla da perdere e che comunque non possa sperare in nessuna crescita professionale, potrebbe ragionevolmente accettare una carica, a decisione limitata e a rischio illimitato”.

Duci conclude con un giudizio pesante: la “proliferazione delle inchieste giudiziarie, del recente caso Ravenna e dei rischi penali, è lo specchio di una riforma portuale fallita”. Lasciamo agli operatori, alle comunità portuali, giudicare se la recente riforma voluta dall’allora ministro delle Infrastrutture e Trasporti, Graziano Delrio, sia davvero – come sostiene Duci – un fallimento, oppure, come suggerisce qualcun altro, se i 15 presidenti delle Autorità Portuali, nominati dallo stesso Delrio, possano non essere tutti all’altezza per mancanza di esperienza.

O ancora, se i presidenti siano stati caricati di troppe responsabilità, se la legislazione che li norma sia datata, inadeguata, confusa e con norme sovrapposte, se le autorità di controllo siano troppe (Ministero, Guardia di Finanza, Autorità dei Trasporti, Anac, Mef, Corte dei Conti). O ancora, se sia in corso una guerra sorda e sotterranea delle Capitanerie di Porto, che tentano di riprendersi terreno e competenze, contro le Autorità Portuali. O se, in mancanza dei provvedimenti di attuazione delle norme, e quindi della loro interpretazione autentica, si sia lasciato campo aperto alla soggettività dei giudici, o se questi stiano semplicemente esagerando con provvedimenti invasivi.

Quel che è certo sono le conseguenze che ne stanno già derivando, dal blocco di importanti lavori infrastrutturali, “alla comprensibile e ormai quasi generalizzata tendenza dei vertici delle Autorità Portuali, ancora non travolti da inchieste, ad assumere qualsivoglia decisione e a ufficializzarla con una firma,” per citare di nuovo le parole del Presidente di Federagenti.

Quel che è certo è che così non si può andare avanti, che i porti, con questa spada di Damocle sospesa sulle loro teste, non ce la possono fare.

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