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Per salvare Alitalia si affondano gli aeroporti

Ci aveva già provato quindici anni fa il governo di Silvio Berlusconi, ministro delle Infrastrutture e Trasporti Pietro Lunardi, a mettere sabbia nei motori degli aeroporti per riaccendere quelli di Alitalia con il famigerato e indimenticato decreto sui “requisiti di sistema aeroportuale”, che tagliava i diritti di traffico per favorire l’ex monopolista statale. Quale sia stato l’esito, al terzo salvataggio pubblico della fu compagnia di bandiera, è sotto gli occhi di tutti.

 

Ora ci riprova il governo di Giuseppe Conte, ministra delle Infrastrutture e Trasporti Paola De Micheli: non solo nella distribuzione della pioggia di miliardi stanziati – di cui quasi 3 miliardi e mezzo proprio per Alitalia – non si prevede alcun aiuto al settore, colpito al cuore dal Coronavirus esattamente come le compagnie aeree, per sostenerne la ripartenza ma addirittura alcune delle misure del Dl Rilancio e del Dl Semplificazioni, mettono altra sabbia, semmai ce ne fosse bisogno, nella riaccensione dei motori. Con il rischio concreto di far fallire più di un aeroporto minore, che trascinerebbe l’indotto sul territorio.

 

C’è di nuovo la tentazione di far pagare l’improbabile decollo in solitaria di Alitalia, del tutto anacronistico nell’era delle grandi alleanze e dei colossi dei cieli, al segmento sano della filiera del trasporto aereo italiano, quegli aeroporti che, anno dopo anno, negli ultimi quindici anni hanno inanellato un successo via l’altro: dai 53 milioni di passeggeri del 1997 ai 105 milioni del 2004 sù fino al record assoluto di 193,1 milioni toccato nel 2019. Mentre Alitalia, che all’epoca dei “requisiti di sistema” rappresentava il 50% del traffico passeggeri, oggi è scesa al 13% in Italia e a meno del 2% del traffico europeo.

 

Un successo, questo degli aeroporti, propedeutico al boom del turismo, come ha ricordato in questi giorni Assaeroporti, l’associazione che raggruppa gli scali italiani: il 40% dei visitatori stranieri arriva in aereo “confermando – scrive – il ruolo essenziale degli scali per lo sviluppo del settore”. Insieme i due comparti muovono circa il 17% del Pil nazionale. Piuttosto che gingillarsi con i futuribili e grandiosi progetti per l’Alta velocità ferroviaria lungo la linea Adriatica e in Sicilia, Ponte sullo Stretto compreso, annunciati in questi giorni dal Ministro della Cultura con delega al Turismo, Dario Franceschini, meglio sarebbe concentrarsi a salvare quel che già c’è e che funziona.

 

Sparare sui vettori low cost come fanno alcuni commi dei due decreti citati – il contratto direttamente con lo Stato per i servizi essenziali con la Sardegna e le isole minori della Sicilia in monopolio, il contratto unico di lavoro per tutto il settore aereo, che di fatto impone quello in vigore in Alitalia, il divieto di accordi tra compagnie aeree e aeroporti volti a prevedere la corresponsione di incentivi a fronte del raggiungimento di determinati obiettivi di sviluppo di traffico e rotte e da ultimo la riduzione dei diritti di decollo e atterraggio – per salvare (forse) un’Alitalia nazionalizzata e monopolista, quando i buoi sono scappati da una quindicina d’anni, potrebbe mantenere (forse) diecimila posti di lavoro. Al prezzo di distruggerne molte decine di migliaia, negli aeroporti e nel settore allargato del turismo. E’ questo il risultato che si vuole ottenere?

 

Per non parlare degli italiani, che si sono abituati a volare a prezzi accessibili e che rischiano di rimanere a terra se si torna a un trasporto aereo d’elite, al monopolista Alitalia: i vettori low cost garantiscono oggi il 51,3% del traffico e offrono un’ampia gamma di destinazioni.

 

Intanto i gestori aeroportuali che, tra marzo, aprile e maggio hanno scontato un crollo quantificato in 45 milioni di passeggeri, sono stati costretti a chiedere la cassa integrazione per gli oltre10mila dipendenti delle loro società. “E’ il peggior calo di sempre. Le prossime settimane saranno decisive per porre le basi della ripartenza. I correttivi al Dl Rilancio e le misure che saranno inserite nel Dl Semplificazioni e nei prossimi Dpcm sono le ultime occasioni – avverte il presidente di Assaeroporti, Fabrizio Palenzona – per garantire la mobilità del Paese, ripristinare i collegamenti con l’Europa e il mondo e conservare migliaia di posti di lavoro. Non possiamo lasciarci sfuggire questa occasione: il danno sarebbe irreparabile”.

 

L’associazione chiede quindi di assicurare un mercato concorrenziale che garantisca la mobilità di cittadini e merci e la messa a disposizione di risorse accessibili, con la creazione di un fondo dedicato – F2i, il fondo infrastrutturale che gestisce sette scali in cui transita il 30% del traffico nazionale lo ha quantificato in audizione al Senato in 400 milioni di euro, una frazione del denaro destinato ad Alitalia – che compensi i gestori e gli altri operatori del settore per i danni subito, preservando l’occupazione e garantendo la realizzazione degli investimenti previsti.

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