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L’asimmetria del sistema tributario

giuseppe conte stati generali

Ci hanno messo un po’ a decidere ma alla fine i soldi dall’Europa arriveranno. Almeno quelli del fondo di recupero. Una cascata di denari per salvare il Paese già malandato prima del Covid. E così secondo una logica solo apparentemente lineare ecco uscire dal cilindro degli Stati Generali le illuminate linee guida per il futuro. Hanno pensato bene che ministri e ministeri non bastavano. Serviva di più. Gli Stati Generali, che solo il nome mette suggestione. Un piano in nove capitoli e cinquantacinque voci snocciolate una ad una. Eccoli lì, scivolare via dal grembo del governo giallo-rosso, i brandelli del loro vasto repertorio di vacuità. Ora finalmente sappiamo che occorre migliorare il Paese attraverso un’azione politica di modernizzazione che sostenga il sistema economico e stimoli la coesione sociale. Così che ti viene da pensare, stordito dal ritmo incalzante delle banalità, che se nessuno riesce a fare meglio, siamo davvero destinati all’oblio.

 

E mentre gli imprenditori inascoltati preannunciano derive e naufragi, e i lavoratori protestano per i licenziamenti qualcosa di ostinato risuona nel dibattito quotidiano sulla crisi economica e sulle difficoltà del sistema sanitario. Il tema della lotta all’evasione. Quanti ospedali avremmo potuto avere se solo si fosse perseguita una seria azione di recupero del gettito evaso. Tesi apparentemente ineccepibile se non fosse per le traiettorie anomale del rapporto tra fisco e contribuente. Intendiamoci, il pagamento delle tasse è un obbligo imprescindibile. Vanno pagate e basta. Senonché, nel richiamare un popolo alla coesione sociale e nell’imprimere la spinta necessaria per affrontare un futuro impegnativo, non è possibile tralasciare le carenze e le ruberie del settore pubblico e il controllo della qualità e della produttività della spesa.

 

 

Sprecare milioni di Euro per un ospedale inutile, occupare posizioni pubbliche senza titolo e competenze, appropriarsi di stipendi indebiti, sono fatti gravi quanto l’evasione fiscale. Eccole dunque: le traiettorie anomale dell’asimmetria tra Stato e contribuente. Vale la pena ricordarne solo alcune perché non se ne parla poi tanto. La prima che viene in mente è quella dell’avviso di accertamento che già nel nome contiene il primo difetto linguistico. Accertare significa “riconoscere per certo” mentre gli avvisi non sono certi per niente vista la percentuale del 45% dei casi di vittorie piene dell’Agenzia delle Entrate nei giudizi di primo e secondo grado.

 

 

La sua esecutività consente, in modo simile alla clausola del solve et repete, di attivare gli strumenti di riscossione in attesa di giudizio. Profondo medioevo. L’accusa di esagerare con il diritto non è meno insensibile al progresso. Un’operazione che riduce la fiscalità deve avere benefici aggiuntivi extrafiscali per non correre il rischio che la spiegazione non convinca l’amministrazione. Dittatura. E così ancora: la stratificazione ossessiva di poteri e funzioni in capo all’Agenzia delle Entrate, la massa enorme di legislazione sovrapposta ed incomprensibile, il progressivo crescere del monitoraggio dei comportamenti individuali sono solo alcuni esempi della crescente asimmetria: “mancanza o rifiuto di proporzione tra le parti e il tutto”.

 

 

Già, perché il rapporto tra Stato e contribuente è la metafora esatta del costume del nostro paese in grado di offrire illuminazioni inaspettate. Gli sprechi ammontano a 200 mld all’anno, il doppio dell’evasione, a fronte di una spesa pubblica primaria di circa 800 mld. Così capisci che nessuna riforma fiscale e nessuna lotta all’evasione sarà mai proficua in assenza di una stretta correlazione con lo sperpero e la mala gestione del denaro pubblico. Due profili dello stesso volto da affrontare con la stessa incisività.

 

 

Per tali ragioni l’auspicata riforma non dovrà limitarsi ad abbassare la pressione fiscale e a semplificare ma dovrà osare per ridurre gli effetti distorsivi del nostro sistema tributario. Solo dopo si potrà discettare sulla natura etica dell’obbligazione tributaria. Perché il cuore dell’etica riguarda la motivazione. Una questione che ha a che fare con la forza motrice di un popolo. Oggi, in tutto l’occidente ormai oltre il tramonto, l’unica motivazione possibile è la coincidenza dello scopo delle nostre azioni con l’interesse egoistico. Un cinico scambio, un baratto sociale.

 

 

E allora per quale motivo lo stesso funzionario zelante che sottoscrive il fermo amministrativo dell’automezzo del panettiere sospettato di evasione non dovrebbe emettere il sequestro dei beni dei funzionari pubblici o dei politici inetti sospettati di danno erariale? Eccole: le traiettorie del futuro. Aneliti di simmetria, per ricucire con la fiducia lo strappo tra governanti e cittadini.

 

 

La scelta di un modello che potrebbe delinearsi in una proiezione simmetrica, sia pure limitata, ci pone dunque l’interrogativo se sia possibile riflettere su un’ipotetica pari dignità tra diritti riconosciuti in modo specifico al contribuente e i poteri autoritativi del fisco. Se sia possibile un salto di qualità.

 

 

Del resto bisogna pure coltivarla qualche utopia, altrimenti si riduce tutto ad una questione di scambio di vanità, di fazzolettini bianchi ben riposti nel taschino della giacca, di vacuità. In un paese sull’orlo della crisi di nervi va detto che quella roba che vogliono servirci non è poi tanto fresca anzi è piuttosto vecchiotta. È una pappetta scaduta e riscaldata che ci stanno servendo tiepida perché il Governo oltretutto procede come un bradipo claudicante. Alla fine chissà se ce la mangeremo senza storcere la bocca più del dovuto. Tanto che vuoi che succeda, un po’ di disbiosi e via. Come se nulla fosse accaduto.

 

Pierluigi Cirielli è commercialista, avvocato e titolare dello studio Cirielli

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