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Autostrade, governo decida guardando avanti

autostrade atlantia castellucci

Settemila dipendenti diretti, migliaia di piccoli azionisti che le hanno affidato i loro investimenti, uno dei pochissimi campioni nazionali che l’Italia possa vantare, capace di farsi valere all’estero, depositaria di “un enorme patrimonio professionale e umano”, per usare le parole dell’attuale amministratore delegato Roberto Tomasi: Autostrade per l’Italia è tutto questo. Ed è esattamente questo patrimonio che il governo, nel decidere – finalmente, dopo due anni di chiacchiere inconcludenti, proclami e minacce – cosa fare, come chiudere il contenzioso che si è aperto con la società per la rovinosa caduta del Ponte Morandi a Genova, dovrebbe tutelare.

 

Distruggere questo valore sarebbe un peccato capitale, una perdita secca per il Paese, altri punti di Pil, oltre al meno 11% già previsto, lasciati per strada in un momento in cui davvero non ce lo si può permettere. Continuare a giocare con la clava pronta a colpire della “revoca” – complici gli articoli del Milleproroghe che hanno cambiato unilateralmente i termini della concessione su indennizzi e tariffe – per ora non ha sortito altro effetto che declassare il titolo di Atlantia, che controlla Aspi, a spazzatura e gettare le sorti borsistiche e finanziarie della società tra le braccia della speculazione, degli squali che puntano a sbranare la preda allontanando gli investitori di fondi infrastrutturali di lungo periodo. E a scatenare le risate e il commento “la solita Italia” nelle banche d’affari straniere.

 

Non siamo in una tragedia greca, non può essere la vendetta il motore che muove un governo e forze politiche “adulte” verso la conclusione di una vicenda drammatica che si sta trascinando perfino oltre il tempo necessario alla ricostruzione del ponte crollato. Qui non è tanto in gioco il destino della famiglia Benetton – che sarà giudicata nelle sedi competenti – ma il destino di un’azienda, che è assai più della famiglia Benetton. Sono in gioco migliaia di posti di lavoro, anche nell’indotto, 7 miliardi di investimenti pronti a trasformarsi subito in cantieri, la Gronda di Genova e il Passante di Bologna, più gli altri 7,5 miliardi previsti per i prossimi anni. E i due miliardi già impegnati per le manutenzioni.

 

Quali sarebbero i benefici per l’Italia di far fallire Aspi revocando la concessione? A chi verrebbero affidati i tremila chilometri di autostrade che gestisce attualmente? Ad Anas, la cui efficienza, persino per gli osservatori più clementi, lascia parecchio a desiderare? Per quanto tempo? O si pensa a una ri-nazionalizzazione strisciante attraverso Cassa depositi e prestiti, dopo aver lasciato per anni i profitti al privato? Quando si indirà la gara per un nuovo concessionario, sapendo che le altre società italiane sono troppo piccole per mangiarsi un boccone tanto grosso e che solo società straniere avrebbero la dimensione giusta?

 

È a queste domande che il governo dovrebbe saper rispondere prima di fare l’ultima mossa. Senza rinunciare a pretendere dalla società tutto il dovuto, a farle pagare a carissimo prezzo le inadempienze, l’incuria, le omissioni e gli errori che hanno portato alla morte di 43 persone. Ma guardando al futuro, non al passato.

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