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Il tabù della patrimoniale

Ci sono parole che pesano più del loro significato. Assumono una dimensione identitaria che le rende quasi ingestibili. Nel bene e nel male. Basti pensare al condono. Giustamente, qualsiasi ipotesi di condono viene immediatamente percepita come una scorciatoia, una furbizia che mortifica la lealtà di chi ha rispettato le regole e non ha bisogno di condonare nulla. Eppure, i condoni in mille forme diverse tornano puntuali. Poi, c’è il grande tabù che si alimenta intorno alla parola patrimoniale.

 

Partiamo dal significato di imposta patrimoniale. Scegliamo per comodità il dizionario Treccani: “imposte p. (o sul patrimonio), quelle, ordinarie o straordinarie, che gravano sul complesso dei beni dei singoli contribuenti”. Quindi, la questione si allarga già solo guardando alla definizione. Quando parliamo di imposta patrimoniale ordinaria ragioniamo di un prelievo fiscale che fa parte del menu di imposte che si pagano abitualmente. L’Imu, Imposta municipale unica, che ha sostituito la vecchia Ici, Imposta comunale sugli immobili, è un’imposta diretta di tipo patrimoniale, essendo applicata sulla componente immobiliare del patrimonio. Quando si parla di imposta patrimoniale straordinaria si parla invece di un prelievo fiscale legato all’esigenza di finanziare qualcosa. Il precedente più celebre è il prelievo forzoso del sei per mille dai conti correnti delle banche italiane, imposto dal governo Amato nella notte del 10 luglio 1992, per fronteggiare il crollo della lira.

 

Oggi si torna a parlare con insistenza, e una certa confusione, di patrimoniale per un emendamento alla Legge di bilancio che prevede l’introduzione di una tassa patrimoniale al posto di Imu e imposta di bollo su conti correnti e deposito titoli. I primi firmatari sono Nicola Fratoianni, Leu, e Matteo Orfini, Pd. Stando alla lettera della proposta di modifica, si sta parlando di un’aliquota progressiva minima dello 0,2% “sui grandi patrimoni la cui base imponibile è costituita da una ricchezza netta superiore a 500mila euro”. Una ricchezza patrimoniale netta da calcolare a partire “dalla somma delle attività mobiliari ed immobiliari al netto delle passività finanziarie, posseduta ovvero detenuta sia in Italia che all’estero”.

 

L’elemento chiave da evidenziare è la sostituzione di imposte esistenti (Imu e imposta di bollo sui conti correnti) che incidono sotto la soglia dei 500mila euro di patrimonio con una nuova imposta che incide solo sopra quella soglia. Si può discutere delle modalità, della tempistica e anche dell’opportunità di ragionare in questi termini in questa fase. Ma è difficile negare che un’imposta progressiva, che incida sul patrimonio, possa essere una soluzione da prendere in considerazione in una fase di assoluta emergenza, come quella legata al Covid che stiamo vivendo.

 

E, allora, perché la reazione dentro la maggioranza, ovviamente nell’opposizione, ma anche più in generale nell’opinione pubblica, è stata così ferma nella condanna di un’ipotesi del genere? Perché quello della patrimoniale è diventato un vero e proprio tabù, con tanto di slogan annesso: vuol dire mettere le mani nelle tasche degli italiani.

 

Anche in questo caso, sempre dal dizionario Treccani, il tabù è “cosa, azione, argomento che non si deve e non si può toccare, fare, trattare”. Ecco, in questo senso, sarebbe bene che di patrimoniale si potesse parlare senza tabù. Per decidere se, come e quando, un intervento fiscale redistributivo, progressivo e quindi ‘patrimoniale’ possa o debba essere preso in considerazione.

 

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