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La parità di genere e perché alle donne serve ‘fare squadra’

manager jefferson wells manpower

Come diffusamente raccontato dai media internazionali, sembra chiudersi un anno al femminile e iniziarne uno nuovo che promette di andare nella stessa direzione. Effettivamente, a livello globale, molte delle icone degli ultimi mesi sono donne che ci accompagneranno nel neonato 2021.

 

 

Solo per fare qualche nome: Kamala Harris e Janet Yallen, nominate da Joe Biden rispettivamente Vicepresidentessa e Segretaria al Tesoro degli Stati Uniti, sono le prime nella storia a ricoprire due ruoli notoriamente maschili; ancora Ursula von der Leyen e Angela Merkel spiccano tra le figure di riferimento in Europa nel contrasto alla pandemia e, infine, guardando all’Italia, Antonella Polimeni è stata scelta come nuova Rettrice dell’Università La Sapienza (anche in questo caso si tratta di un primato storico) unendosi alle sei colleghe già alla guida di atenei nazionali.

 

 

 

D’altro canto, in termini di parità di genere, l’Italia arranca posizionandosi al 70esimo posto su 140 Paesi nella classifica del World Economic Forum e assistendo a un’emorragia di posti di lavoro ricoperti da donne (344mila in meno ossia il 55,3% del totale per la precisione), soppressi per via della crisi legata alla pandemia da Covid-19.

 

 

 

Dunque, alla luce di un disequilibrio concreto e tangibile, per quanto sia essenziale confrontarsi con role model femminili, come possiamo fare un passo ulteriore, ovvero agire per colmare la distanza verso quelli che rischiano di sembrare piedistalli inarrivabili? Come possono queste esperienze di donne ai vertici fertilizzare il mondo del lavoro reale per dare vita a pratiche inclusive nel quotidiano? A mio avviso i buoni conduttori su cui puntare per propagare la scossa sono due: la responsabilità e la collaborazione.

 

Ripensando a uno dei più recenti successi della Disney, il remake di Mulan, fin dalle prime scene è palpabile la frustrazione che esplode quando il potenziale di un essere umano viene schiacciato dai condizionamenti sociali, in questo caso proprio legati al genere. Nello sceneggiato, l’Impero cinese minacciato da una violenta invasione rischia di collassare privandosi di un talento eccezionale, Mulan appunto, perché donna e non adatta al ruolo del guerriero, tradizionalmente maschile. Senza entrare nel merito della storia, un tema interessante, che contribuirà al successo della combattente, è quello della solidarietà, profonda anche se solo accennata, che in alcuni punti si percepisce tra lei e l’anti-eroina, altrettanto dotata e incompresa dalla società.

 

Questa immagine rievoca l’importanza di entrambi gli elementi sopraccitati. In primis, si percepisce la rilevanza della responsabilità dei decisori in ogni contesto, non solo politico ma anche all’interno delle imprese così come nelle scuole, di valorizzare le competenze lasciando spazio alla pluralità, cercando il più possibile di andare oltre la retorica e la stereotipizzazione dei ruoli.

 

In relazione alle STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics), per esempio, si sta facendo molto per abbattere gli archetipi di genere e su questo l’Italia si posiziona bene, in cima alla classifica dei Paesi del G7 con il 40% di giovani diplomate in queste materie e il 31% di donne impegnate in professioni correlate.

 

Ma nonostante il primato, c’è ancora un pezzo di strada da fare per raggiungere l’equilibrio in quelli che saranno i comparti guida della digital transformation che caratterizzerà il nostro immediato futuro. E poi non ci sono solo le STEM, ma la necessità di un maggior coinvolgimento delle donne in ogni settore: più che per spartirsi gli spazi a posteriori, per compartecipare alla costruzione dei vettori che ci traghetteranno verso il domani.

 

In seconda battuta, nella storia della Disney emerge la crucialità della collaborazione, tra donne soprattutto anche se antagoniste. Infatti, sebbene sempre più professioniste ci dimostrino che si può fare breccia nel soffitto di cristallo, è altrettanto fondamentale “fare cordata” per amplificare il risultato, favorendo la pluralità e l’equilibrio. Una certa narrazione attribuisce agli uomini l’attitudine a fare squadra ma, considerando che l’empatia e l’ascolto sono caratteristiche naturalmente femminili, va da sé che possano facilmente incentivare l’accoglienza e la solidarietà tra colleghe.

 

La possibilità, dimostrata dai numeri, che alcuni talenti per lo più femminili fatichino a emergere per via degli ostacoli che una donna può incontrare lungo il suo percorso professionale – legati agli stereotipi culturali, all’assenza di welfare o a minori opportunità – deve responsabilizzare ogni singola professionista, ma ancor di più quelle che ricoprono ruoli rilevanti, nel coinvolgere collaborativamente sempre più donne, con la consapevolezza che l’obiettivo finale non sia partigiano ma positivo per la collettività intera.

 

 

Lavorando al fianco di aziende, istituzioni e associazioni nella comunicazione strategica, ogni giorno mi accorgo di quanto sia prezioso uno scambio congruo tra due emisferi che posso arricchire le visioni a beneficio del nostro futuro.

 

*Elena Di Giovanni è Co-founder & Vicepresidente di Comin & Partners

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