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La nuova responsabilità ‘illimitata’ degli amministratori delle Srl

imprese srl manager aziende

*Pierluigi Cirielli è commercialista, avvocato e titolare dello studio Cirielli

 

Non c’è niente da fare. Si ripetono sempre gli stessi errori. La “coazione a ripetere” è un meccanismo potente e subdolo che raggira la razionalità e obbliga ad agire nella stessa direzione. Nella storia dei mal governi questa strana forma di follia accampa insieme all’incapacità e all’inesperienza e registra la diffusa perseveranza a ripetere gli stessi errori a dispetto dell’evidenza e delle alternative.

 

 

Il tema è trattato da Barbara Tuchman nel libro “La marcia della follia” dove si ripercorrono i più clamorosi casi di follia dei governanti. Storie di comprovati fallimenti che ci aiutano a non trascurare l’analisi di alcuni meccanismi irrazionali del funzionamento del potere. Disponibilità di conoscenze e d’informazioni non bastano ad evitare scelte sciagurate. Dopo quasi ottant’anni il legislatore è riuscito a riformare la legge fallimentare che prende il nome di “Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza”. Le spinte riformiste sono state recepite dal nostro ordinamento giuridico che alla funzione afflittiva e sanzionatoria del fallimento ha sostituito la cultura della prevenzione nella gestione delle imprese.

 

 

Ce l’abbiamo fatta ad adattarci ai cambiamenti ma come al solito quando arriviamo esageriamo. Mai come in questo momento l’avvenire del paese è legato a precise scelte di opportunità in grado di rilanciare il tessuto economico depresso e scoraggiato. Purtroppo il nuovo Codice, oltre a riformulare l’impianto normativo delle procedure, prevede rilevanti modifiche in materia societaria tra cui la previsione della responsabilità illimitata e solidale degli amministratori delle società a responsabilità limitata per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione del patrimonio sociale. Una norma inopportuna e ingiusta.

 

 

Un colpo mortale alla piccola e media impresa, ancora non consapevole del proprio destino, con il quale si cancella l’autonomia patrimoniale perfetta delle società a responsabilità limitata.

 

Per effetto di tale riforma gli amministratori non hanno più alcuna limitazione di responsabilità e rispondono con l’intero loro patrimonio dei debiti sociali. A loro carico è posto il nuovo dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile idoneo a consentire il tempestivo rilevamento di una situazione di crisi d’impresa e di perdita della continuità aziendale. Una bomba potentissima, esplosa senza far rumore, che provocherà conseguenze devastanti.

 

 

Se l’intento era di scoraggiare gli amministratori ad agire secondo pratiche scorrette, di cui si è fatto abuso, la novella normativa va oltre inasprendo pene e responsabilità. Chi vorrà fare impresa dovrà decidere se rischiare tutto o affidarsi ad amministratori disposti a farlo a fronte di lauti compensi.

 

Che sia un caso emblematico di eterogenesi dei fini o la follia suicida di un legislatore miope è difficile dire. Certamente l’introduzione della responsabilità oggettiva degli amministratori fuori dei casi specifici di colpa e di dolo stravolge il principio essenziale della responsabilità limitata in base al quale per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio in un contesto economico, in larga parte di piccole e medie imprese, dove soci e amministratori coincidono. Viene così sovvertito il principio della limitazione del rischio in danno alla libera iniziativa e allo sviluppo economico e sociale.

 

 

Una svolta giuridica che accompagna l’avanzare di quel processo più ampio che assottiglia via via la classe media e traccia un nuovo scenario di grandi imprese e di un dilagante proletariato.

 

In un momento così drammatico che lascia prevedere con la fine degli ammortizzatori sociali milioni di cessazioni di attività e di licenziamenti occorre attuare una certa idea di mondo che incoraggi e favorisca lo sviluppo riconoscendo agli imprenditori il ruolo sociale ed economico che meritano. Affliggere e sanzionare gli amministratori delle piccole e medie imprese disincentiva il lavoro e gli investimenti e scoraggia qualsiasi iniziativa.

 

 

È l’epifania di una carneficina annunciata che delinea i contorni di un macabro disegno. Quello di un futuro in cui si profilano solo due possibilità: scegliere di vivere di sussidi tra il divano e il mondo virtuale o preferire di lavorare per lo Stato o per i grandi gruppi industriali. È il compimento di un’idea di mondo folle che la storia ha già condannato rispetto all’idea di uno stato imprenditore, il tramonto dell’economia delle piccole e medie imprese e dei valori borghesi. L’anno nero della pandemia ha messo a nudo le nostre vulnerabilità legate anche alla debolezza del sistema facendo prevalere la logica del “meglio sudditi che morti”. Dobbiamo augurarci che l’anno che verrà sconfigga il virus e non confermi la logica del “meglio sudditi che poveri”. Secondo il 54esimo rapporto del Censis solo il 13% degli italiani è disposto a tornare a rischiare aprendo un’impresa. Percentuale destinata a diminuire se non sarà abolita la responsabilità illimitata degli amministratori.

 

 

Figuriamoci se l’attuale Governo, in larga parte d’improvvisati e scappati di casa, possa rendersi conto dell’imminente precipizio. E proprio perché l’Italia continua a perdere terreno rispetto ai paesi concorrenti serve un’altra guida e un altro passo per cercare di non ripetere sempre gli stessi errori.

 

*Pierluigi Cirielli è commercialista, avvocato e titolare dello studio Cirielli

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