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Una strategia cloud per l’Italia

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Tra le molteplici sfide racchiuse nel Pnrr che il governo è chiamato ad affrontare, figura anche la decisione su come investire le risorse dedicate allo sviluppo e alla diffusione del cloud computing di cui anche il documento appena inviato dal governo Draghi alle Camere si occupa.

A livello di tecnologia IT, l’avvento del cloud costituisce un vero e proprio cambio di paradigma, poiché comporta il passaggio dall’attuale sistema in divenire, nel quale ogni individuo od organizzazione dispone di propri hardware e software, a un nuovo contesto più fluido, in cui gli utenti possono fruire dei servizi e predisporre la propria infrastruttura direttamente sui propri terminali, mentre la capacità di calcolo, di immagazzinamento dati (e, nel caso dei servizi SaaS, anche la stessa installazione e fornitura delle applicazioni) sono tutte operazioni effettuate dal provider di servizi.

Il combinato disposto tra l’importanza della rivoluzione cloud e il rinnovato interesse per il digitale generato dalla pandemia hanno contribuito a riaccendere l’attenzione di istituzioni europee e Stati membri sui temi della sovranità tecnologica e dell’autonomia strategica dell’Unione.

Con quest’ultima, in particolare, si intende una qualche forma di autodeterminazione politica ed economica nel campo dell’innovazione, in special modo rispetto alle superpotenze economiche quali Stati Uniti e Cina e ai loro colossi tecnologici.

Questo rinnovata voglia di autonomia nasce dalla presa di coscienza di 4 fattori: evoluzione tecnologica, privacy, mercato e investimenti in ricerca e sviluppo.

Il primo è relativo all’importanza strategica del cloud che – insieme a banda ultra e 5G – costituisce il principale fattore abilitante della digital transformation, e quindi per la diffusione di applicazioni Big Data, Intelligenza artificiale (AI) e Internet of Things (IoT).

In secondo luogo, il vasto utilizzo di servizi cloud extra-europei da parte di imprese, PA e cittadini, in un mercato in cui i maggiori player internazionali sono prevalentemente nordamericani e in parte cinesi, preoccupa gli organismi comunitari.

Per quanto concerne il fattore economico, IDC stima il mercato dei dati attualmente in 350 miliardi l’anno, con prospettive di crescita fino a 550 miliardi nel 2025.

Infine il ritardo europeo, oltre che rispetto ai top player di mercato, è relativo anche agli investimenti complessivi in ricerca e sviluppo dedicati al cloud. Su quest’ultimo aspetto, la Dg Connect ha stimato un gap annuo di 11 mld di euro di investimenti pubblici e privati in R&S nel cloud computing rispetto ad Usa e Cina.

In termini di spesa per ricerca e sviluppo, l’Europa ($411 miliardi) appare in ritardo rispetto a Stati Uniti ($551) e Cina ($526). In Italia la situazione appare ancor peggiore, con solo $32,4 miliardi investiti in R&S, pari all’1,4% del PIL nazionale (a fronte del 2% medio in UE).

Per l’Europa e soprattutto per l’Italia, quindi, chiudersi in difesa potrebbe rivelarsi tutt’altro che una scelta saggia. Al contrario, una svolta tecnologicamente autarchica rischierebbe di ridurre la competitività rispetto al contesto internazionale lasciando aziende, PA e cittadini europei con tecnologie meno competitive.

A livello nazionale, le controindicazioni di un approccio di stampo protezionistico sono molteplici, in particolare relative alla riduzione della varietà e della qualità dei servizi cloud offerti, alla limitazione nella disponibilità di servizi avanzati (su tutti, Big Data, AI e IoT), ad un rallentamento delle attività certificazione e della compliance normativa delle applicazioni e, paradossalmente, anche ad una potenziale diminuzione del livello di sicurezza complessivo di enti pubblici e aziende.

In definitiva, una svolta eccessivamente protezionista rischierebbe di tradursi in un rallentamento dello stesso tasso di adozione del cloud da parte di aziende e PA, mettendo in pericolo gli importanti benefici che verrebbero generati da un mercato aperto, integrato e pienamente sviluppato.

A tal proposito, il rapporto dell’Istituto per la Competitività (I-Com), presentato lo scorso 21 aprile, stima fino ad 1,16 mld di euro l’anno i vantaggi per la Pubblica Amministrazione italiana, derivanti da minore spese energetiche (fino a 140 milioni) e maggiore produttività del personale.

A livello internazionale l’esperienza del cloud sovrano francese, con lo Stato in qualità di azionista di maggioranza, non può essere considerata un esempio virtuoso. Del resto, provare a sviluppare autarchicamente le tecnologie raramente si è rivelata una scelta vincente. Molto più pragmatico appare il modello britannico, finalizzato a promuovere la diffusione del cloud nel settore pubblico anche con il coinvolgimento dei maggiori provider internazionali, inclusi quelli extra-europei.

Parallelamente, al fine di mantenere uno speciale controllo sui dati riservati, è stato condotto un aggiornamento della Data Classification Strategy, per verificare quelli davvero meritevoli di speciale protezione da parte dello Stato (risultati circa il 5% del totale).

In tal modo, PA che operano con dati “non segreti” possono adottare soluzioni fornite dai cloud provider provenienti dal libero mercato (che peraltro garantiscono un livello di sicurezza molto elevato, con policy di criptazione che consentono l’accesso ai dati ai soli proprietari), incrementando offerta e qualità dei servizi. Un modello “ibrido” che tiene insieme un servizio statale di immagazzinamento e gestione dei dati più sensibili (simile al cloud di Stato o Polo Strategico Nazionale evocato anche dal Ministro Colao) e offerta di mercato.

All’inclusività è improntato anche Gaia-X, progetto di ispirazione franco-tedesca. Promosso dalla Commissione europea a fine 2019, punta ad allargare il perimetro sia individuando regole uniformi a livello comunitario, sia creando un unico mercato europeo dei dati tramite un approccio federato e sovranazionale. Il progetto è finalizzato a garantire interoperabilità, sicurezza e trasparenza, evitando gli effetti negativi della frammentazione in sistemi cloud nazionali.

Anche in questo caso, per rendere maggiormente inclusivo il perimetro e valorizzare qualità, efficienza ed expertise dei provider di dimensioni globali, Gaia-X è stato esteso anche ai player extra-europei, nella misura in cui accettino il set di requisiti, standard e valori promossi a livello Eu.

Gaia-X prevede attualmente una articolazione in hub regionali che avranno la funzione di far emergere caratteristiche e requisiti legati a specificità settoriali o locali. L’Italia sembra intenzionata a dotarsi di un hub sul suolo nazionale, con Confindustria in qualità di promotore e 28 aderenti tra le maggiori imprese nazionali.

Alla luce di tali considerazioni, nella predisposizione di un modello italiano per il cloud appare importante incoraggiare l’interoperabilità dei servizi cloud e la portabilità di dati e applicazioni, insieme all’utilizzo di standard aperti e alla condivisione di tecnologie e best practice capaci di migliorare il livello complessivo di innovatività del sistema. Al contempo appare opportuno favorire armonizzazioni di settore nel solco tracciato dal progetto Gaia-X e con altri sistemi giuridici come quello statunitense.

La maggiore criticità, in particolare, risiede nell’individuare il corretto bilanciamento tra garantire la sicurezza dei dati critici e favorire una rapida adozione di questo nuovo paradigma tecnologico, evitando il ricorso a politiche improntate al “sovranismo digitale” che rischierebbero di indebolire la competitività del sistema.

Nel complesso, dunque, un modello d’ispirazione britannica, inclusa un’attenta valutazione di asset e dati sensibili, all’interno di un più vasto insieme di livello europeo garantito da Gaia-X e alimentato anche da know-how e tecnologie extra-Eu, nella cornice delle regole e dei principi del Vecchio Continte, sembrerebbe costituire la migliore scelta possibile. Non resta che attendere e vedere se il Governo sarà in grado di stabilire un così particolare equilibrio tra questa molteplicità di fattori.

 

Di Lorenzo Principali, Senior Research Fellow Istituto per la Competitività, I-Com

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