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Da Vermicino a Eriksen: voyerismo, privacy e pubblicità

11-13 giugno 1981. Vermicino – sobborghi di Roma. Il piccolo Alfredo Rampi, un bambino sconosciuto, cade in un pozzo. L’Italia scopre in quel momento la diretta che viola la vita. Per 48 ore, il Paese resta inchiodato alla tv. Il circo mediatico cerca di vedere ciò che è nascosto. Le telecamere si infilano nella tragedia e la mordono fino all’epilogo.

12 giugno 2021. Copenaghen, Europei di calcio. Partita Danimarca-Finlandia. Il danese Christian Eriksen, il campione, il re delle punizioni, giocatore dell’Inter campione d’Italia e della sua nazionale si accascia improvvisamente a terra. Si spenge la luce nei suoi occhi. Ma ecco che, incredibile, si spengono anche le telecamere, si allontanano dalla scena e non indugiano su quel corpo immobile che sembra far presagire un esito infausto.

Due episodi così diversi eppure così simili. Separati da 40 anni esatti. Un tempo lunghissimo con una evoluzione della storia dei media. Attori essi stessi di una scena che contribuiscono a definire. Ormai totalmente pervasivi nella nostra vita, malgrado le quantità industriali di leggi fatte per tutelare sia il diritto di cronaca che quello degli utenti dei media.

Il diritto alla privacy è infatti soprattutto una questione di percezione di ciò che siamo e di come veniamo rappresentati. In internet abbiamo regolato il diritto all’oblio. E dunque possiamo far sparire dalla rete immagini ed articoli che ci riguardano e che possono ledere i nostri interessi.

È noto che quello del cronista e del reporter non è un mestiere da educande. Si racconta negli anni pre internet di leggendari inviati di cronaca che, sul luogo dell’incidente (o del delitto) avevano un unico obiettivo “acchiappare la foto del morto”. E poi il ricordo di tragedie, come quella di Diana Spencer, addirittura causate dalla fame di immagini dei reporter.

Fin dal 2004, sotto la presidenza di Stefano Rodotà, il Garante Privacy italiano, in risposta a quesiti dell’Ordine dei giornalisti, ricordava come l’obiettivo da perseguire fosse sempre e comunque quello di “trovare un punto di equilibrio tra il diritto di cronaca e il diritto di ogni persona ad essere rispettata, nella sua dignità, nella sua identità, nella sua intimità”.

E chiariva che “una codificazione minuziosa di regole in questo ambito risulterebbe inopportuna in un contesto nel quale sono assai differenziate le situazioni nelle quali occorre valutare nozioni generali dai confini non sempre immutati nel tempo (essenzialità dell’informazione, interesse pubblico, ecc.) e valorizzare al contempo l’autonomia e la responsabilità del giornalista”.

Sembra facile. Ma a stare ai fatti quotidiani, in Italia e nel mondo, ci accorgiamo di quanto tra il dire e il fare ci siano di mezzo le copie vendute (o i like).

Un mercato che vale moltissimo. Solo in Uk la Premier league frutta 5,5 miliardi di euro per i diritti trasmissivi. E poi si aggiunge la pubblicità dei singoli eventi. Un singolo adv può costare intorno ai 200.000 euro.

Insomma, un mondo in cui si combatte una lotta senza esclusione di colpi. In cui immagini, anche cruente, possono essere uno straordinario catalizzatore di share. E quindi di guadagno.

Eppure a Copenaghen si è compiuto un sostanziale miracolo. I giocatori hanno protetto il compagno. Riprese che valevano oro semplicemente non sono state fatte. Ci si è fermati prima. La reazione dei compagni di squadra di Eriksen peraltro quasi militare. Tutti in piedi a fare scudo con i propri corpi di atleti al compagno caduto.

Non è un comportamento istintivo questo. E nemmeno il risultato dell’esperienza di navigati showman quali sono al tempo di oggi i giocatori di calcio. Che sono prima di tutto la loro immagine. I loro gesti, il loro modo di esultare. Tutto è preso, sezionato, analizzato, registrato. Indelebile. Pagato. Eppure lì, seppur presente, Eriksen era semplicemente sparito. Era lì in mezzo a loro ma invisibile.

Nel 1981 il tema economico non era in agenda. E anche a Vermicino “il corpo” di Alfredino Rampi era invisibile. Ma era come se ci fosse “in presenza”. Immaginato, pensato, corporeizzato pur nella sua assenza. Ma il valore delle immagini era già li. Tangibile. Anelato prima di tutti dal Presidente Pertini, con l’auspicio, legittimo, di lucrare politicamente l’auspicato lieto fine. Che invece non ci fu.

Oggi però abbiamo raccontato un’altra storia. E colpisce quanto siamo cambiati malgrado noi stessi. E se per assurdo tre giorni fa l’epilogo fosse stato tragico, si sarebbe comunque dato un esempio.

La consapevolezza del valore della vita e della morte è infatti molto più di una questione di privacy e di diritto di cronaca. E di diritti radiotelevisivi. Sono in gioco dimensioni profonde. Abbiamo sperimentato una consapevolezza che, forse, non sapevamo di avere. E quei lunghi minuti di assenza di immagini dallo stadio di Copenaghen sono la conferma che questi quarant’anni da Vermicino non sono passati invano. E che, almeno in questo caso. Il “piccolo, spazio, pubblicità” è rimasto spento.

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