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La lunga mano della ‘ndrangheta sulle imprese

La ‘Ndrangheta punta sugli imprenditori. Non solo perché assicurano la disponibilità del capitale economico ma perché possono garantire il capitale sociale e di relazione che serve a controllare le istituzioni e a garantirsi il consenso sul territorio. Ma è molto battuto anche il percorso inverso. Con gli imprenditori che cercano il contatto con il mondo ‘ndranghetistico, per ottenere appalti e protezione, per alleggerire i costi ed evitare problemi sindacali. Il comandante del Ros, generale Pasquale Angelosanto, parla con Fortune Italia della relazione stretta tra criminalità organizzata, tessuto produttivo e politica. Risponde alle nostre domande nella sede del Raggruppamento Operativo Speciale, ricostruendo legami, raccontando fatti e indicando gli snodi di una collusione che il suo reparto contrasta con una strategia che parte dall’individuazione degli obiettivi più sensibili: sono quelli che alla pericolosità militare uniscono la capacità di controllare l’amministrazione pubblica e di reinvestire i proventi dei traffici illeciti in attività legali.

L’INVESTIMENTO DELLA RICCHEZZA

“Attraverso il lavoro dell’analisi, individuiamo gli obiettivi più remunerativi”, premette, introducendo il concetto della pericolosità dell’organizzazione: “Non guardiamo solo ai reati gravi, agli omicidi, alle faide ma anche alla capacità di investimento della ricchezza”. L’organizzazione forte militarmente diventa più pericolosa quando è capace di “conseguire sul territorio maggiore potere, entrando in rapporti con i gangli che regolano la vita sociale, economica e politica della comunità”.

Come avviene tutto questo? Per capirlo è necessario guardare all’organizzazione criminale più forte in questo momento, la ‘ndrangheta. “Premettendo che è un’organizzazione unitaria, segreta e dotata di organismi di vertice, riesce a replicare fuori dalla Calabria il proprio modello organizzativo con strutture che rispondono alla casa madre, si inserisce nelle dinamiche politiche, economiche e amministrative attraverso una modalità ricorrente: il canale è costituito dagli imprenditori collusi”.

Lo snodo è il rapporto tra l’organizzazione mafiosa e l’imprenditore. “Non punta tanto al capitale economico della società quanto al capitale di relazioni con il mondo esterno, per entrare in contatto con la politica. Nel rapporto con la ‘ndrangheta, l’imprenditore trascina con sé le sue relazioni”. L’organizzazione mafiosa ha necessità di reinvestire nelle attività lecite. Nell’edilizia, nei trasporti, nella logistica, nelle filiere agroalimentari. “Reinveste la ricchezza accumulata con il traffico di droga, con i proventi delle scommesse e con molte altre attività, perché l’organizzazione mafiosa è onnivora”.

Il generale Angelosanto condisce il suo racconto con riferimenti precisi. “Ci siamo trovati di fronte a grandi articolazioni della ‘ndrangheta, come quella dei Farao Marincola di Cirò Marina, radicata in tutto il crotonese, che avevano messo in piedi un articolato sistema di furti e di riciclaggio di autovetture di grossa cilindrata e dal valore particolarmente elevato che si svolgeva tra l’Italia, la Germania e la Bulgaria”. Possibile? “Sì, perché anche questa attività fa fare soldi”. Poi, ci sono le condizioni degli imprenditori. “L’imprenditore in difficoltà ha bisogno di liquidità e accetta il soccorso, l’investimento mafioso ovviamente viene fatto senza passare da un notaio, con la società che resta all’imprenditore ma viene controllata dall’organizzazione mafiosa”.

La ‘ndrangheta, quindi, “non presta soldi ma investe e partecipa agli utili della società, mentre l’imprenditore continua a muoversi sul territorio e ad avere rapporti con gli enti locali o con i professionisti, non più per conto suo ma per conto dell’organizzazione. Quindi, l’imprenditore diventa il tramite tra il pubblico amministratore e il mafioso”. E questo sistema fornisce la risposta alla domanda del perché il sindaco o l’assessore di un paese isolato in Trentino o in Valle d’Aosta debba entrare in contatto con gli ‘ndranghetisti. In Trentino, racconta Angelosanto, “due associati alla locale cosca di ‘ndrangheta, controllata dai Serraino di Reggio Calabria, con interessi in imprese di estrazione e commercializzazione del porfido, avevano avuto ruoli anche elettivi nell’amministrazione comunale e uno di essi era stato nominato assessore alle cave”. Questo inoltre spiega come si arriva al controllo dell’ente locale, che è “uno degli obiettivi strategici” dell’organizzazione mafiosa. A maggior ragione in questa fase, considerando che buona parte delle risorse del Pnrr arriveranno agli enti locali. Il comandante del Ros, a questo punto, fa riferimento a un altro esempio significativo. “In Campania abbiamo indagato per decenni, e continuiamo a farlo, sul clan camorristico dei Casalesi. È quello che ha avuto la maggiore vocazione imprenditoriale, ha puntato tutto sul controllo dell’attività d’impresa, ha partecipato a grandi commesse, costruzioni di strade, ferrovie, acquedotti. Michele Zagaria e Antonio Iovine catalogavano gli imprenditori in categorie secondo il grado di coinvolgimento nell’attività mafiosa, fino ai camorristi diventati imprenditori”.

GLI INTERESSI DEGLI IMPRENDITORI

Tornando all’oggi e alla ‘ndrangheta, se il contatto iniziale è spesso l’imposizione del pizzo, perché è bene tenere presente che “se un’impresa controllata dai Mancuso di Vibo Valentia va a lavorare a Rosarno deve pagare i Pesce che lì dominano, e viceversa”, è anche vero che tanti imprenditori hanno interesse ad avere il rapporto con l’organizzazione criminale. “Sono loro a cercarla quando devono lavorare alle grandi opere, per alleggerire i costi, non avere problemi sindacali, avere forniture privilegiate, per portare avanti il lavoro senza intoppi, in termini di verifiche e controlli”. Il rapporto, poi, “si perfeziona, si affina e diventa vincolante quando l’imprenditore chiede e ottiene liquidità, facendo un grande errore: pensa di ottenere un vantaggio e poi uscire
dal sistema, ma non è mai così. La criminalità mafiosa esercita la riserva di violenza. Se ne sta buona fino a quando non è costretta alla ritorsione. Quando l’imprenditore tenta di svincolarsi, scatta la reazione. A quel punto, l’unica strada per uscirne è autodenunciarsi”. Altrettanto accertati i rapporti con le professioni. “In una delle ultime indagini fatte a Gioia Tauro sulla pericolosa cosca Piromalli, sono state riscontrate pesanti infiltrazioni nell’azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria, realizzate attraverso medici intranei all’organizzazione mafiosa, capaci di condizionare gli assetti amministrativi delle strutture sanitarie e di incidere sul mercato della distribuzione dei prodotti sanitari”. Poi ci sono anche i professionisti che si vantano dei rapporti con la criminalità organizzata. Il comandante del Ros, anche in questo caso, ricorre a un aneddoto significativo. “Dalle intercettazioni dell’indagine Aemilia, svolta in Emilia Romagna, è emerso che una commercialista era contenta, quasi esaltata, e si sentiva onorata di avere a che fare con uno dei capi della cosca legata ai Grande Aracri di Cutro, dominante sull’intera provincia crotonese e con articolazioni nel Nord Italia”.

IL RAPPORTO CON LA POLITICA

L’atro tassello chiave è il rapporto con la politica. Per raccontarlo, Angelosanto parte da un fatto di sangue. “Prendiamo a emblema l’omicidio dell’onorevole Francesco Fortugno, ucciso nel 2006 a Locri. Era vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria e primario del Pronto soccorso dell’ospedale di Locri. Mandanti ed esecutori, stando alle sentenze passate in giudicato, venivano dall’ospedale di Locri. Da lì venne fuori il grumo degli interessi che ruotavano intorno alla sanità. Il consigliere regionale Domenico Crea viene condannato definitivamente in un altro procedimento per concorso esterno in associazione mafiosa. È il consigliere che subentra a Fortugno, oggettivamente favorito dall’omicidio. L’indagine denominata ‘onorata sanità’ e quella sull’omicidio ricostruiscono i fatti. Crea non era stato eletto per i voti mancanti, riconducibili ai mandanti dell’omicidio Fortugno, che per ritrovare centralità ordinano l’omicidio. I giudici definiscono il loro un ‘movente di ripristino’”.

Per capire fino in fondo gli interessi e il metodo del controllo del territorio da parte della ‘ndrangheta, è utile fare riferimento alle intercettazioni ambientali. Il comandante del Ros ne ricorda una in particolare. “A casa di Giuseppe Pelle, all’epoca indagato perché capo del mandamento ionico della ‘ndrangheta, dove ricadono paesi noti in tutto il mondo per essere punti di riferimento degli ‘ndranghetisti quali San Luca, Careri, Locri, Africo. È il 2010, in prossimità delle elezioni regionali e Pelle disegna la strategia politica dell’organizzazione. “Pelle si chiede: Perché dobbiamo dare i voti a questo o a quello, e chiedere cose a questo o a quello, per poi trovarci costretti ad andare a minacciarli… Individuiamo i nostri candidati e portiamoli alla Provincia, alla Regione e chi si comporta bene lo portiamo in Parlamento”. Parole che segnano un salto di qualità evidente dell’intera organizzazione, che si muove compatta, nel rapporto con la politica. L’altro elemento cardine è il consenso all’attività criminale sul territorio. Il comandante del Ros lo spiega così: “Perché è tanto importante il controllo della sanità in Calabria? Perché è il settore più legato ai bisogni primari dei cittadini e la riconoscenza viene capitalizzata al tavolo dello scambio elettorale politico-mafioso”. Ci sono altre due conversazioni importantissime su questo fronte. La prima è sempre di Giuseppe Pelle, che usa una similitudine per descrivere l’organizzazione ‘ndranghetista e la ricerca del consenso: “Siamo come un albero di frutta. Le persone passano, raccolgono il frutto e lo mangiano. A noi interessa che la maggioranza dica che il frutto è buono”. L’altra intercettazione è di un emissario mai identificato di San Luca che va a parlare con l’esponente di vertice della cosca Cordì contrapposta a quella dei Cataldo in una annosa faida, che continuava a provocare fatti cruenti a Locri: “Dovete finirla, perché le persone si stancano. Quando il popolo vi va contro, quello che avete fatto in trent’anni lo perdete, vi prende il popolo, se poi vi prende il popolo, vi prendono gli sbirri, vi prendono i magistrati e arrivano pentiti di qua e pentiti di là e puoi stare sicuro che siete finiti”.

LA ‘NDRANGHETA MONDIALE

Un approfondimento a parte lo merita la connotazione internazionale della ‘ndrangheta. Il generale Angelo- santo ne ricostruisce il funzionamento. “Fa capo a San Luca, epicentro della ‘ndrangheta, denominato dagli stessi associati crimine di Polsi, che non è solo un riferimento ideologico. Ogni articolazione di qualunque livello sparsa nel mondo paga una tassa su tutti gli affari illeciti al crimine di Polsi che, oltre all’autorità di dettare le regole generali e le relative sanzioni, ne decide gli aspetti organizzativi e le nomine dei responsabili”. Per discutere di alcune problematiche organizzative delle locali di ‘ndrangheta in Australia, racconta Angelosanto, “l’ex sindaco di Stirling Domenico Antonio Vallelonga, detto Tony, parte dall’Australia e va a Siderno, dentro una lavanderia, per parlare con Giuseppe Commisso, detto ‘il Mastro’, e ricevere disposizioni”.

Allo stesso modo, “Domenico Oppedisano, capo Crimine della ‘ndrangheta, parlando con Bruno Nesci, capo della locale di Singen in Germania, delle frizioni che erano insorte tra la locale tedesca e quella di Frauenfeld in Svizzera, ribadisce che anche gli associati all’estero non possono sottrarsi alle regole centrali cioè al ‘discorso unitario’, e quindi che entrambe le strutture devono rispettare le determinazioni assunte in Calabria”. Guardando all’attività del Ros all’estero, vanno fatte due premesse. Innanzitutto, “uno dei problemi della collaborazione internazionale è il disallineamento della normativa: l’associazione di tipo mafioso in Italia si configura per il solo fatto di associarsi, mentre per esempio in Germania non esiste e in altri Paesi è prevista l’associazione per delinquere solo se abbinata ai reati fine. Ne consegue che, per ottenere la collaborazione di un altro Stato, spesso dobbiamo cercare di ampliare il quadro indiziario, andando oltre la già difficile acquisizione delle dinamiche associative, al fine di poter avviare con richiesta della magistratura le attività rogatoriali all’estero”.

Ma, prosegue il generale Angelosanto, “la difficoltà più grande è la percezione del problema. La strage di Duisburg ha fatto capire ai più come la ‘ndrangheta fosse diventata così forte in Germania. Dispiace constatarlo”. La realtà dice che la forza internazionale della ‘ndrangheta ha origini lontane. In Australia, la ‘ndrangheta è presente dai primi anni del Novecento. “Il modello criminale ha sfruttato il flusso migratorio, seguendo un processo di vera e propria colonizzazione criminale. Si è insediata 80/100 anni fa e possiamo immaginare cosa è diventata nel tempo”. Il Ros, ovviamente, lavora per individuare e perseguire le strutture della ‘ndrangheta all’estero, in cooperazione con le polizie straniere. E torna centrale lo strumento normativo disponibile. In particolare, “è difficile sottrarre gli investimenti in attività produttive e i beni all’estero, perché mentre nel nostro ordinamento abbiamo la possibilità di procedere alla confisca cosiddetta allargata pre- scindendo dalla pertinenza tra bene e reato, negli Stati Uniti, benché in astratto non sia esclusa la possibilità di intervento in un processo penale, è operativamente più efficace procedere ai sequestri in un procedimento civile se si può dimostrare che ci sia il sospetto che l’investimento sia riconducibile ad attività illecite o impie- gato in attività criminali che possano inquinare il mercato e quindi alterare la libera concorrenza. Si tratta della procedura nota come civil forfeiture. In Europa sono stati fatti molti passi in avanti, con un recente regolamento Ue del dicembre 2020, per eliminare le disfunzioni nella cooperazione giudiziaria nel settore, oggi è riconosciuta la possibilità per gli Stati membri del mutuo riconoscimento dei provvedimenti di congelamento e confisca dei beni, sebbene molto deve ancora essere fatto per permettere un omogeneo potere di accertamento nei Paesi della Comunità: mancano, per esempio, comuni mezzi d’indagine nel settore bancario ovvero nell’utilizzo delle banche dati centralizzate”.

LA STRATEGIA DEL ROS

Si parte dall’individuazione delle componenti organiche della struttura militare. “È la base, indispensabile per configurare il reato di associazione mafiosa”. L’altra direttrice “è l’individuazione delle attività illecite, quelle che consentono l’accumulazione della ricchezza”. Poi, evidenzia il generale Angelosanto, “dobbiamo puntare a individuare le attività lecite, in particolare quelle di impresa, controllate dalle mafie”. I Farao Marincola, ad esempio, “sul territorio controllano anche le attività lecite. Ci sono intercettazioni in cui imprenditori estranei all’organizzazione si lamentano per il fatto che non hanno alcun margine per inserirsi nel tessuto imprenditoriale”, tutto ciò che produce reddito interessa all’organizzazione, “i Mancuso di Limbadi erano riusciti a controllare l’importazione e la distribuzione di prodotti petroliferi nella provincia di Vibo Valentia, progettando finanche di estromettere l’Eni presente con depositi fiscali nel territorio e di stabilire accordi, attraverso la ipotizzata costituzione di società miste, con alcuni esportatori di petrolio del Kazakistan”. Altro tassello, l’individuazione dei beni, per la restituzione al territorio della ricchezza sottratta. “Svolgiamo un ruolo socialmente significativo, anche con segnali ben evidenti sul territorio: a Platì, la caserma dei Carabinieri è in una villa che era dei Barbaro. A Rosarno, la caserma è in due ville sequestrate ai Pesce.

A Reggio Calabria, interi palazzi confiscati sono diventati alloggi delle forze di polizia”. Sul piano operativo, “l’aggiornato potenziamento tecnologico è una delle chiavi per l’incremento progressivo della capacità investigativa”. Per esempio, oggi le intercettazioni telefoniche, tra traffico voce e dati, sono di fondamentale importanza, e in tale quadro, nel 2015 è stato costituito il Reparto indagini telematiche, specializzato nelle attività forensi e di controllo del grande ambiente web, sia di superficie sia in profondità”. “La criminalità organizzata utilizza tecnologia avanzata.

Si pensi al sofisticato controllo del gioco online o agli investimenti in criptovalute, che servono a spostare denaro ma soprattutto al pagamento di partite di droga e di altri traffici illeciti. È un fronte su cui lavoriamo molto, cercando di avere tecnologia sempre più sofisticata. L’Arma lo fa con programmi di investimento per milioni di euro all’anno”. Il generale Angelosanto non si sottrae neanche quando chiediamo del rischio di collusione sul territorio fra la criminalità organizzata e le forze dell’ordine. “Esiste, e si fonda spesso su  rapporti di natura corruttiva”. In generale, si può parlare di un “abbassamento della tenuta etica”, anche perché “il prezzo della corruzione a volte è scarsamente significativo”. Pesa, spiega il comandante del Ros, “il condizionamento del territorio, con le relazioni personali e quelle familiari”. Le contromisure? “Un’attenta rotazione negli incarichi e, soprattutto, la formazione iniziale e successiva e la costante attività
di controllo. Siamo inflessibili, con denunce penali e adeguate misure disciplinari, tra cui le sospensioni e le radiazioni”.

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