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Ora una sola Camera da 600 parlamentari

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Nel Paese in cui ‘hanno tutti ragione’, ogni tanto bisognerebbe prendere atto delle conseguenze delle posizioni che prendiamo e riflettere se corrispondono ai nostri intendimenti. Anche i più acerrimi sostenitori del bicameralismo paritario dovrebbero fare qualche riflessione sullo stato di salute della nostra democrazia rappresentativa e sul ruolo del Parlamento.

Ritengo necessaria questa riflessione perché chi ancora crede, come chi scrive, nella centralità del Parlamento e nella democrazia rappresentativa, non può stare con le mani in mano. Siamo in una fase in cui il ruolo del Parlamento è sempre più irrilevante. Nell’emergenza può essere comprensibile, ma la tendenza mi sembra ormai delineata. Come ha anche notato Enrico Letta, il taglio dei parlamentari ha creato problemi molto seri e aggravato la situazione che rischia di aprirsi all’indomani delle prossime elezioni.

A questo proposito, l’iniziativa di Claudio Martelli e le posizioni di Sabino Cassese, Francesco Clementi e altri credo vadano sostenute. Come da loro sottolineato, con la proporzione tra parlamentari e delegati regionali stabilita dalla Costituzione, il Parlamento in seduta comune finisce per diventare una sorta di Camera delle Regioni. Inoltre, si viene a creare un’eccessiva differenza tra la maggioranza che elegge il presidente della Repubblica e quella necessaria per dare la fiducia al governo e per approvare le leggi.

Non solo. Occorre intervenire subito, cioè prima delle prossime elezioni politiche, visto che il Senato ‘tagliato’ non garantirebbe la rappresentanza di alcune province autonome e di alcune regioni e, indipendentemente dalla legge elettorale, produrrebbe una drastica riduzione delle forze politiche, con la cancellazione delle forze minori. La riforma costituzionale ha cambiato il numero medio di abitanti per parlamentare. Alla Camera è passato da 96mila a 151mila, al Senato da 188mila a 302mila.

Collegi più ampi allontanano l’eletto dagli elettori, rendendo più difficile all’eletto curare il collegio e rendendo più forte il potere di chi può proporre le candidature, cioè i vertici dei partiti. Quindi, ci sarà una verticalizzazione del potere, che aumenta quella già esistente, a causa della crisi delle strutture periferiche dei partiti. Ancora, un Senato di soli duecento membri funzionerebbe male, molto male: sarebbe indotto a recepire col silenzio assenso i provvedimenti varati dalla Camera, con ciò certificando la propria inutilità. Non c’è dubbio che è un minor numero di parlamentari, specialmente al Senato, richiederà un maggiore impegno. Ma il fenomeno più preoccupante è quello del cosiddetto monocameralismo alternato, per cui da tempo una Camera può solo ratificare ciò che è stato deciso dall’altra.

Di fatto la revisione parlamentare confermata dal referendum popolare del 2020 riducendo i senatori a 200 e i deputati a 400, ha alterato la Costituzione. Nel momento in cui anche la base elettorale tende a rendere uniforme l’elettorato passivo e attivo di Camera e Senato verrà meno ogni distinzione e con essa ogni ragione e ogni significato del nostro bicameralismo.

Il contesto attuale che vede un governo del Presidente sostenuto da una maggioranza di (quasi) unità nazionale è il più propizio a una revisione costituzionale. Una riforma chiara, semplice, in perfetto spirito repubblicano.

Gli ultimi due anni di legislatura sono più che sufficienti per una revisione che istituisca un’unica Assemblea Nazionale di 600 membri sostitutiva sia della Camera sia del Senato. Non solo assorbiremmo in un’unica revisione le varie correzioni necessitate dal taglio dei parlamentari ma finalmente supereremmo il bicameralismo tante volte denunciato e doteremmo la Repubblica di un Parlamento monocamerale pienamente rappresentativo, efficiente ed efficace in linea con le migliori democrazie moderne, proporzionato alla popolazione nel numero dei suoi membri.

C’è un ulteriore motivo per incamminarsi decisamente verso il monocameralismo. L’esistenza, ormai da mezzo secolo, di 20 parlamenti regionali che svolgono, in ambiti limitati, le stesse due funzioni del Parlamento nazionale: fornire un consenso all’esecutivo e adottare atti normativi.

Poi, a coloro che su ogni iniziativa verificano la corrispondenza col piano di Licio Gelli, suggerirei di vedere nei fatti cosa è accaduto alla Costituzione più bella del mondo che doveva essere immutabile, almeno nella sua prima parte. E poi in fondo, il famoso ‘piano di rinascita democratica’ ha delle evoluzioni ben più pericolose rintracciabili in alcuni blog e nelle parole dei garanti di movimenti, che nel recente passato hanno avuto più successo elettorale del massone aretino.

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