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L’unicorno di Mancini a Euro 2020

roberto mancini euro 2020

Sono circolate diverse stime rispetto al valore che la vittoria dell’Italia agli europei di calcio potrà portare in termini di sviluppo del prodotto interno lordo nel nostro paese. Ed è importante evidenziare quanto una dimensione di coinvolgimento sportivo e sociale potrebbe portare un surplus di fiducia e di coesione sociale che rappresenta un elemento essenziale per lo sviluppo di una ripartenza produttiva a livello nazionale dopo un periodo ad alta complessità sociale.

Ogni grande vittoria sportiva genera un effetto positivo che aumenta il prestigio internazionale di un Paese. Dopo la vittoria degli azzurri nel 2006, per esempio, i dati ci dicono che l’economia nazionale è cresciuta in modo sostenuto, con un aumento record del 4,1% del Pil a valori correnti.

Questo è stato anche il primo grande evento dopo i 2 anni della pandemia. I dati dello share dicono che le trasmissioni della partita fatte su Rai 1 è su Sky hanno visto oltre 20 milioni di spettatori attaccati al teleschermo. In pratica oltre l’85% di chi ha visto la televisione la sera dell’11 luglio era li.

Un evento sportivo totalmente raccontato nei social giorno per giorno. E da questo resoconto possiamo cogliere elementi che meritano un’analisi e una riflessione che va oltre la semplice dimensione sportiva per sfociare in quella più di natura organizzativa e di management team.

In questo senso un elemento di valutazione molto importante e che vale la pena di essere esaminato è Il documentario “Sogno Azzurro, la strada per Wembley”. Un lavoro molto ben fatto e che rappresenta un bel modo di fare televisione. Un racconto con immagini inedite sulla Nazionale di Roberto Mancini che costruisce il suo percorso per diventare Campione d’Europa.

Lo speciale Rai ha avuto un successo notevole in termini di share: il 21.2%. Segno certo del persistere del coinvolgimento emotivo che ancora ci tiene legati a questo evento. E che rimarrà con noi a lungo. Probabilmente anche più del successo mondiale del 2006. Forse molto più simile all’emozione del 1982 (per chi la ricorda di persona o per chi l’ha sentita raccontare).

Ma andando oltre il lato emozionale immediato, il prodotto messo a disposizione dal servizio pubblico è interessante perché permette di analizzare il modo in cui questa impresa si è realizzata. Consentendo di leggere e confrontare gli stili di comando e governo di un team che hanno portato al raggiungimento del successo.

Non è la prima volta che capita. In questo caso però, molto più che in altre circostanze, abbiamo potuto verificare in modo fattuale, grazie anche alle riprese fatte nei backstage, quanto più del talento individuale abbia potuto la capacità di costruzione di un gruppo coeso con obiettivi chiari e una missione condivisa.

Una lezione manageriale da approfondire e rileggere con attenzione. La visione del docufilm rai è, in questo senso, un’eccellente opportunità di comprensione di processi organizzativi e gestionali all’interno di un corpo complesso con un obiettivo importante e di breve periodo. Ed è un modello assolutamente replicabile sia nelle organizzazioni di impresa che in quelle istituzionali.

Insomma non sbagliamo nel dire che c’è abbastanza imparare da questa esperienza. Ci possono essere infatti diversi modelli per portare un gruppo di giocatori ad un risultato. Uno dei più noti è quello top down.

È il caso di coach come Jose Mourinho o Antonio Conte.

Quest’ultimo, ad esempio, vanta in Nazionale una esperienza di ‘quasi’ successo. Lui è un professionista che, come stile, esercita una leadership molto muscolare. La conseguenza di ciò è che, pur essendo leader di successo, vanta anche una certa striscia di fallimenti, o meglio di giri a vuoto, delle squadre da lui allenate nel momento topico: sperimentando, in diverse occasioni, la sconfitta proprio nei match conclusivi di tornei ad eliminazione diretta.

Se guardiamo invece alla storia di questi tre anni della squadra di Mancini è quella di un disegno manageriale completamente diverso basato su di un gruppo di giocatori ricostruito dopo una delle peggiori debacle internazionali della storia del nostro movimento calcistico.

Dopo l’esclusione dalla fase finale dei mondiali del 2018, Roberto Mancini ha messo insieme un gruppo di giovani, bravi ma senza star multimilionarie, in cui ha una capacità di comprensione delle indicazioni strategiche del coach, un gruppo che riesce ad operare in modo libero divertendosi e conquistando l’obiettivo.

Per realizzare ciò è stato ovviamente particolarmente importante bilanciare il mix di capacità messe in campo dagli atleti con un backup di esperienza del team a supporto. In questo senso il valore aggiunto è stato proprio nel ruolo complessivo giocato da Mancini, Vialli, Oriali, De Rossi e tutto lo staff tecnico. Un gruppo di esperti che più che un gruppo di comando, sono stati una squadra di coach a supporto del team in campo.

Condivisione di esperienze personali e di successo che ritornano vive e vengono messe a disposizione di chi è impegnato sul campo, in una logica di correzione e miglioramento nella quale tutti gli attori esercitano un ruolo non precostituito. Molto simile al modello di una startup che, come accaduto in questo caso, può diventare un unicorno.

Certo poi la fortuna ci vuole ed in questo caso c’è stata. Ma come si dice “aiutati che Dio ti aiuta”. Ed in questo caso pur se dall’altra parte del “channel”, God didn’t save the Queen.

Insomma un grande successo ma soprattutto una buona lezione: insieme si vince e serve sia fiato che testa. Questo vale per lo sport come in molti altri campi. E pure in politica. Cosi come in Europa. Ma di questo ne riparleremo.

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