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Aumentare la qualità del lavoro, il caso dei call center

L’estate sta finendo. E una delle cose di cui faremmo a meno al ritorno a casa è l’assillo dei call center. Una miriade di chiamate che ci sollecitano all’acquisto di servizi ed abbonamenti. Al netto delle questioni di tutela della privacy, ci troviamo per la gran parte dei casi con interlocutori non professionali, dai nomi improbabili e con modelli comunicativi spesso irritanti.

Sono rari, e perciò molto apprezzati, i casi in cui la proposta di vendita viene vissuta come opportunità e con rispetto del cliente. Chi ha fatto l’esperienza a con il CRM di Amazon o di Apple sa esattamente di cosa si parla.

Un comparto che occupa oltre 80,000 persone in Italia, fornendo servizi alle tlc, banche, assicurazioni, utilities, pubbliche amministrazioni, aziende trasporto aereo, ferroviario, locale. Un mercato, del valore di circa 2 mld di euro, con un trend crescente di medio periodo, con una crescente automazione delle attività semplici ed a basso valore aggiunto (attraverso chatbot, self care..).

Pochi giorni fa è partita la nuova Alitalia. Uno dei temi sul tavolo è la riqualificazione dei servizi di CRM. Oltre cinquecento persone sin qui occupate in Italia. Se vogliamo immaginare un futuro operativo per loro serve una discontinuità organizzativa. Le imprese vivono dei fatturati che producono, altrimenti è assistenzialismo di cui ben conosciamo gli esiti.

In generale, questa fase post pandemica impone di ripensare l’intero sistema di offerta e relazioni con la clientela. E si può innovare partendo dalla qualità dei servizi customer care: un cambiamento che ha impatto sulla soddisfazione del cliente e, quindi, sull’effettiva possibilità di costruire valore di impresa.

Troppo spesso infatti si sottovaluta quanto un diverso modello di gestione delle attività di CRM BPO (Customer Relationship Management – Business Process Outsourcing), possa essere punto di svolta nell’assetto organizzativo di una impresa che deve realizzare il proprio turnaround.

Dietro ai sistemi di CRM BPO c’è infatti un mondo che può fare la differenza tra una impresa che galleggia ed una società di successo. Uno degli assoluti punti di forza che contraddistinguono appunto Amazon, gigante che ha rovesciato il paradigma del commercio in pochi lustri, è una imbattibile attenzione al cliente che, quando richiede assistenza, trova praticamente sempre soddisfazione.

Di norma non è così, purtroppo. È un paradosso dell’asimmetria. Ovvero, il livello che rappresenta il punto estremo di contatto con il cliente è quello che ha minor importanza nella catena della costruzione del valore. E che viene scelto sulla base del prezzo più basso. Qualche rischio che il servizio reso sia paragonabile a quanto viene pagato c’è.

In Italia l’offerta è storicamente molto frammentata, con limitata presenza delle grandi aziende multinazionali. I modelli di business sono prevalentemente orientati alla riduzione del costo, rappresentato principalmente dal costo del lavoro. Con un forte sviluppo dell’off-shoring. E un depauperamento delle competenze e dei posti di lavoro nel nostro paese.

Su questo ovviamente si sono fatti molti passi avanti. Però sotto il profilo legislativo fin qui ci si è occupati soltanto di ridurre appunto le attività off shore. La soluzione trovata è stata quella di obbligare l’azienda (banca, tlc, etc.) a dire al cliente se il servizio è erogato all’estero o in italia. Ma serve a qualcosa?

Come spesso accade si cerca di risolvere un problema senza ragionare sulle cause dello stesso. L’idea era di ridurre l’uso smodato di manodopera a basso costo trovata in paesi diversi dal nostro. Obiettivo condivisibile ma risultato inefficiente: non necessariamente chi risponde dall’Italia è più professionale di un call center basato all’estero. Se non vi è percezione del fatto che un’attività produce valore, viene valutata solo come un fattore della produzione a costi comprimibili fino a trasformarsi in una commodity. Ovunque venga erogato il servizio. Per paradosso non si fa che favorire la delocalizzazione: un operatore in Albania o in India costerà sempre meno che in Italia.

Ovviamente il diavolo è nei dettagli: se la spinta all’automazione diventa una leva per la riduzione dei costi e per la minore occupazione determina un servizio sostanzialmente peggiore. La customer experience con alcuni grandi gestori di tlc passati quasi completamente ai sistemi automatizzati ce lo conferma.

Per ottenere più qualità occorre infatti connettere i sistemi di call center con il cuore operativo delle imprese garantendo una completa integrazione della comunicazione e delle informazioni. Solo così si possono ottenere notevoli vantaggi sia di costo sia di qualità del servizio rispetto ai canali tradizionali (sportelli fisici, forze vendita,..).

Serve dunque un cambio di passo. Da un lato, come sta già accadendo, si deve supportare la fase di evoluzione del settore. Le aziende più dinamiche a livello globale si stanno attrezzando per fornire servizi che sommano forza lavoro e tecnologie abilitanti in maniera integrata. Il fattore umano resta centrale e l’automazione totale una chimera. per fortuna.

Sotto il profilo normativo e regolamentare è il tempo che si pensi rapidamente ad un modello di certificazione delle aziende che supporti il salto qualitativo e porti valore nel sistema. Ovviamente servono investimenti. Da parte di tutti. Delle imprese, dei committenti che devono mettere a budget il valore della qualità che diventa elemento costitutivo del servizio offerto.

É un tema che impatta anche la tutela dei lavoratori. Solo con regole certe che valorizzino la qualità e che siano rispettate da tutti (contratti nazionali, rispetto di condizioni fiscali e contributive, solidità finanziaria, adozione della clausola sociale) possono garantire buona formazione, buon servizio e, conseguentemente, una occupazione stabile e di qualità.

Se vogliamo evitare la concorrenza sleale occorre fornire un servizio di maggior qualità a consumatori e cittadini. A questo servono regole chiare e semplici “lavora chi è bravo. Lo pago. Mi fa guadagnare”. Partner e non fornitori che spremono i lavoratori. Attraverso questo modello è possibile far crescere un tessuto di aziende solide e orientate agli investimenti, sviluppare le competenze dei lavoratori del settore e in generale promuovere la digitalizzazione del Paese. E ogni euro speso (in Italia) torna con gli interessi. Facile. Facciamolo.

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