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Il digitale e l’anima per la nuova Europa

Nel suo discorso sullo stato dell’unione pronunciato di fronte al parlamento europeo, la presidente Ursula Von Der Leyen ha spinto molto sulla visione. Citando i Robert Schuman ha detto: l’Europa ha bisogno di un’anima, di un ideale e della volontà politica di perseguire questo ideale.

Una visione che è stata la base della grande spinta al sostegno degli Stati provati dalla pandemia. Che, ha ricordato la presidente, non è ancora finita. Von Der Leyen ha usato metafore sportive “Una pandemia è una maratona, non una gara di velocità”. E per arrivare in fondo ai 42.197 metri serve costanza, tenacia, allenamento. E anche molta immaginazione.

Ci sono molte cose da fare e obiettivi da raggiungere per consentire all’Europa di proiettarsi nel futuro con una vista e competenza tecnologica e una volontà di essere competitivi nel mondo.

Servono lavoro, ricerca, competenza e tecnologia. Tra le molte cose da fare, lo sviluppo della strategia sul digitale dovrà perciò essere uno dei pilastri su cui costruire una evoluzione e una competitività globale. La Presidente ha in questo senso ricordato che il digitale è, senza alcun dubbio, decisivo e che gli Stati membri condividono questa valutazione. Va infatti ricordato che la spesa per il digitale nel NextGenerationEU sforerà addirittura l’obiettivo del 20%,

Quindi talento individuale, resilienza ed investimento nella conoscenza. Sono questi i tre capisaldi su cui costruire una positiva discontinuità approfittando della grande crisi della pandemia.

Sul versante tecnologico e dell’innovazione, la Commissione ha ribadito che verso il 2030 serve una bussola per il digitale i cui punti di riferimento sono quattro.

1) cittadini dotati di competenze digitali e professionisti altamente qualificati nel settore digitale. L’obiettivo è che nel 2030 almeno l’80% della popolazione adulta dovrebbe possedere competenze digitali di base e 20 milioni di specialisti dovrebbero essere impiegati nell’UE nel settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, con un aumento del numero di donne operative nel settore;

2) infrastrutture digitali sostenibili, sicure e performanti. Entro il 2030 tutte le famiglie dell’UE dovrebbero beneficiare di una connettività Gigabit e tutte le zone abitate dovrebbero essere coperte dal 5G; la produzione di semiconduttori sostenibili e all’avanguardia in Europa dovrebbe rappresentare il 20% della produzione mondiale; 10 000 nodi periferici a impatto climatico zero e altamente sicuri dovrebbero essere installati nell’UE e l’Europa dovrebbe dotarsi del suo primo computer quantistico;

3) trasformazione digitale delle imprese. Entro il 2030 tre imprese su quattro dovrebbero utilizzare servizi di cloud computing, big data e intelligenza artificiale; oltre il 90% delle PMI dovrebbe raggiungere almeno un livello di base di intensità digitale e dovrebbe raddoppiare il numero di imprese “unicorno” nell’UE;

4) digitalizzazione dei servizi pubblici. Entro il 2030 tutti i servizi pubblici principali dovrebbero essere disponibili online, tutti i cittadini avranno accesso alla propria cartella clinica elettronica e l’80% dei cittadini dovrebbe utilizzare l’identificazione digitale (eID).

E c’è soprattutto un tema di diritto di accesso universale. In questo senso la Commissione ha ribadito che ì diritti e i valori dell’UE sono al centro del modello europeo dell’UE per il digitale, incentrato sulla persona, e dovrebbero trovare pieno riscontro nello spazio online, al pari di quanto accade nel mondo reale.

Ovviamente la cosa non è affatto semplice ne scontata. È per questa ragione che la Commissione propone l’elaborazione di un quadro di principi digitali, quali l’accesso a una connettività di alta qualità, a competenze digitali sufficienti, a servizi pubblici e a servizi online equi e non discriminatori

L’idea suggestiva è che questo garantirà che gli stessi diritti applicabili nel mondo offline possano essere pienamente esercitati online. Con l’obiettivo di sancirli in una dichiarazione interistituzionale solenne del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione, che verrebbe ad integrare questi principi di natura generale e fondativa nell’ambito del cd. “pilastro europeo dei diritti sociali” integrandolo.

Obiettivi sfidanti a cui poi si dovrà conformarsi definendo regole che abbiano una specifica compliance con questa nuova visione. E non è tutto così semplice. Si pensi ad esempio ai referendum: i Costituenti avevano immaginato quorum e modalità di raccolta delle firme basati sul modello analogico. Adesso con le sottoscrizioni digitali le barriere all’accesso si riducono enormemente. E questo può essere certo un bene. Ma porta in se il rischio, sempre presente in questi casi, che le discontinuità tecnologiche determinino cambi sociali non immaginati e compresi solo in ritardo.

Ma se, al di là di un incipit quasi nostalgico, la riflessione di Ursula si fosse fermata qui avremmo visto descrivere una Europa che non ci piace molto. Il digitale infatti, al pari di ogni elemento di innovazione che si tenta di realizzare è infatti solo uno strumento potente nelle mani di chi poi deve esercitare, con talento e costanza, il cambiamento.

Senza l’anima e lo spirito numeri ed algoritmi servono però a ben poco. Per questo il colpo d’ala, la sintesi che ha reso bello ed emozionante lo speech, e che con la standing ovation si è portato via ogni timore di algida tecnocrazia, è stato il tributo a a Bebe Vio. Un concentrato esplosivo di talento, forza e sana incoscienza. Come ha detto la Von Der Leyen, “la sua storia è l’emblema di una rinascita contro ogni aspettativa. Di un successo raggiunto grazie al talento, alla tenacia e ad un’indefessa positività”.

Next Generation EU non poteva avere simbolo migliore per incarnare lo spirito che vogliamo da una nuova generazione di cittadini europei. Perché, come dice Bebe “se sembra impossibile, allora si può fare

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