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Cina: il valore della solidarietà

In Cina la cultura della solidarietà affonda le sue radici nei valori del Confucianesimo e del Buddhismo ma, dopo l’introduzione del Comunismo, è stata tradizionalmente “top down” e demandata al ruolo dello stato piuttosto che individuale e volontaria.

Il terremoto di ottavo grado che ha colpito il Sichuan nel 2008, uccidendo 70mila persone, ha però iniziato a modificare il paradigma, grazie alla presenza pervasiva dei social media ad alla maggiore ricchezza diffusa nel paese, aprendo la porta alle donazioni individuali e a quelle aziendali che oggi coprono oltre il 70% del fund raising filantropico.

In questo scenario, peraltro, le donazioni aziendali sono in qualche modo “incentivate” in una logica anche di branding per dare un messaggio di vicinanza ed empatia alla popolazione (leggasi consumatore) e ai politici del mercato più grande del mondo.

Anche l’alluvione in Henan, che a Luglio 2021 ha colpito oltre 1,2 milioni di persone in 500 città, ha scatenato una corsa alla solidarietà e mostrato come la corporate social responsibilty possa giocare un ruolo importante nelle strategie di aziende che devono imparare a navigare tra le onde della repressione antimonopolistica avviata dal Governo Centrale e quelle della “Common Prosperity”, il programma lanciato da Xi Jinping per ridurre gli squilibri nella distribuzione del reddito nel paese.

I giganti nazionali del Tech, come Alibaba, Tencent, ByteDance, Didi, Meituan, Pinduoduo, hanno subito messo mano al portafoglio, sostenendo l’Henan con oltre 1 miliardo di yuan, seguiti dai produttori di auto, dalle grandi celebrità dell’entertainment e anche da brand occidentali come il gruppo del lusso Kering e Burberry, boicottato nei mesi scorsi per non avere esplicitamente assunto una posizione pro Cina sul tema delle presunte violazioni di diritti umani nello Xinjang.

Una grande corsa a essere presente (e applaudito sui social) in cui i confini tra filantropia, strategie di pubbliche relazioni per migliorare la propria reputazione, azioni di lobbying e tentativi di blandire il consumatore cinese si fanno molto sfumati, mentre le reazioni dei “netizens” diventano sempre più importanti ed a volte imprevedibili, come dimostra l’interessante caso di Erke osservato nei giorni successivi all’alluvione.

Erke è un brand locale di sportswear, un’azienda cinese di medie dimensioni (con un  fatturato intorno ai 250 milioni di Usd) specializzata in calzature sportive, sponsor dei principali atleti cinesi alle Olimpiadi di Tokyo, ma delistata dalla Borsa di Singapore nel 2020 e (si dice) con bilanci in perdita oltre che alle prese con gravi problemi finanziari.

Per la tragedia dell’Henan Erke ha donato 50 milioni di yuan, una somma importante ma molto inferiore a quanto messo nel piatto dai grandi colossi tech, che però ha attirato l’attenzione dei social generando apprezzamento e sentimenti di riconoscenza verso un’azienda piccola per gli standard locali ma ugualmente disponibile a donare una cifra significativa pur essendo in difficoltà.

In un mercato ormai digitalizzato e pilotato dai social sugli smartphone, in cui i consumatori si muovono compatti come, un esercito, a volte passando dalla “fever” per una novità a quella successiva, decretando improvvise fortune ed improvvisi declini, la notizia è diventata virale dilagando in tutto il paese ed accendendo i riflettori su un Brand minore.

Il live streaming di Erke è quindi passato dai soliti 5-6000 a oltre 20 milioni di utenti, i prodotti offerti nei canali online sono stati tutti venduti rapidamente, un solo fine settimana ha generato oltre 100 milioni di yuan di vendite, cui ha fatto seguito l’assalto ai negozi fisici una volta esaurita la disponibilità online dei prodotti.

L’inattesa reazione di wild consumption dei consumatori cinesi ha paralizzato il sistema informativo dell’Azienda e messo in ginocchio la sua logistica, spingendo il Presidente, Wu Rongzaho,  a presentarsi in live streaming invitando i consumatori a comportarsi razionalmente, comprando solo se necessario.

Ciliegina sulla torta, l’endorsement di Lei Jun, fondatore di Xiaomi, che ha postato una sua foto in scarpe Erke su Weibo, una delle principali piattaforme social cinesi.

La case history è molto interessante in quanto tassello di un quadro più ampio in cui l’affermazione del nuovo paradigma della “Common Prosperity”, che mette al centro il benessere comune e e la lotta alle diseguaglianze, sembra saldarsi con la crescente svolta domestica (o nazionalistica) del consumatore cinese, iniziata con la guerra commerciale trumpiana, accelerata dal recente focus solo interno dei consumi dovuti alla chiusura dei confini causa Pandemia e sostenuta dalla rapida e profonda evoluzione del profilo dei consumatori.

L’affermarsi di nuovi segmenti di consumatori quali GenZ, Female e soprattutto i Millennials sta spostando l’attenzione dallo show off del passato verso nuovi brand, più lifestyle e meno lusso, più accessibili e più densi di contenuti che non di fascino esclusivamente basato sul prezzo.

Tra i possibili elementi valoriali apprezzati dal mercato emerge sempre più netta una forte richiesta di rispetto sostenuta dal crescente orgoglio nazionale che i nuovi clusters di consumatori trasferiscono su marche e prodotti locali, finalmente considerati di pari livello e qualità rispetto alle marche straniere.

Il trend è tangibile e si nota da tanti piccoli dettagli di vita quotidiana, dai modelli ormai prevalentemente cinesi nelle pubblicità alla riforma fiscale che elimina alcuni tradizionali benefici per gli expat con l’obiettivo di sostenere l’ascesa dei manager locali alle posizioni apicali.

In questo senso vanno anche i recenti segnali di evoluzione del Double 11, il Single’s Day celebrato ogni 11 novembre, la festa commerciale più importante del mondo che quest’anno per la prima volta ha iniziato ad orientarsi verso temi di sostenibilità e responsabilità sociale e che ha registrato una forte ascesa dei brand nazionali, dalla cosmetica ai principali musei locali che hanno lanciato con enorme successo blind box dedicate al tema della tradizione culturale cinese.

Il consumo “nazionalistico” in Cina sta crescendo, così come i rischi per le aziende straniere che commettono passi falsi e sono considerate colpevoli di mancanza di rispetto nei confronti del paese per maldestri errori nella comunicazione o perché toccano più o meno consapevolmente nervi scoperti del sistema.

In questo contesto, ipersensibile su temi politici, in continua evoluzione tecnologica e comportamentale, velocissimo e digitalizzato, in cui ogni piccola azione o parola può essere immediatamente amplificata e produrre miracoli o effetti devastanti, la strategia di marca delle aziende occidentali diventa sempre più complessa e la declinazione locale del concetto di corporate social responsibility sembra essere una leva di cui si deve essere consapevoli e che si deve saper maneggiare con attenzione.

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