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Crisi ucraina, supply chain e Pmi italiane: abbiamo un problema

intelligenza artificiale imprese supply chain

La crisi ucraina, e l’assedio economico alla Russia, rischiano di danneggiare le Pmi italiane più della pandemia. Non entrerò nel merito della disputa territoriale in atto tra i due stati dell’ex Unione Sovietica. Vorrei invece discutere del costo di questa crisi, che si sta riverberando sull’intera filiera di tutte le aziende italiane.

Dopo due anni di Covid la nostra manifattura si stava riprendendo. Gli ordinativi erano tornati positivi, le stime di gennaio di un 2022 al 4,7% di crescita era garantite. Una stima ottimistica su cui non convenivo: a inizio febbraio scrissi del 2022 come l’anno della tempesta perfetta.

Oggi si può ipotizzare che queste stime ottimistiche non tenessero conto di fattori geopolitici, di numerosi interessi che orbitano intorno alle faglie tra Nato e area euroasiatica (Russia ma anche Cina e India), delle pregresse filiere di fornitura di materie prime europee (fortemente legate alla Russia e stati filo-russi come Bielorussia e Kazakistan).

Focalizziamoci su come il mondo occidentale, ma più localmente le aziende italiane (la cui stragrande maggioranza sono Pmi) dovrebbero affrontare la crisi di fornitura di materie prime.

È timore dello scrivente che, una volta terminata la crisi ucraina, le sanzioni comminate alla Russia resteranno tali. Se questo scenario si dimostrerà corretto sarà bene comprendere come le sanzioni prolungate intaccheranno le aziende italiane, e come si potrebbe porre rimedio a questa imminente crisi italiana.

“Il mix di sanzioni economiche, tensioni sulla logistica, ritardo nelle consegne, crescita vertiginosa dei prezzi delle materie prime energetiche, industriali e alimentari quali effetti del conflitto in corso in Ucraina si ripercote sulle catene produttive delle aziende italiane, soprattutto nel settore manifatturiero”, spiega Giovanni Rallo, direttore generale di Finlombarda Spa.

“Si pensi, per esempio, che l’impennata delle quotazioni di gas e petrolio, commodity che mostrano a oggi i maggiori rincari, hanno generato un aumento dei costi di produzione che si è tradotto in un’improvvisa compressione dei margini operativi per molte imprese. I settori più in affanno sono metallurgico, automotive, ceramica e agroindustria, ma ne risentono anche le filiere di legno, vetro, gomma, plastica e carta. Senza contare quei settori che scontano le limitazioni dell’export verso Russia e Bielorussia. Ne soffrono soprattutto le filiere a livello locale, che alimentano i distretti industriali, sebbene con esposizioni diverse da settore a settore: la rottura delle catene produttive rende difficoltoso garantire i normali livelli di fornitura”.

Le analisi di numerosi centri studi e think tank non lasciano ben sperare in merito. Continua Rallo: “Secondo le stime di Cerved, l’impatto della guerra sul fatturato delle imprese italiane rischia di essere molto significativo; potrebbe pesare più delle conseguenze economiche della crisi sanitaria. Si stima per il 2022 un tasso di crescita dei ricavi in termini reali in frenata al 3,2% – quasi tre punti percentuali in meno rispetto alle stime ante-guerra (5,9%) – che si attesta al 2,2% per il 2023, con un recupero dei livelli pre-Covid posticipato soltanto alla fine dell’anno e di entità di gran lunga minore rispetto alle previsioni anteriori al conflitto. Uno scenario ancora più preoccupante si profilerebbe nel caso le ostilità continuassero per molto tempo e gli effetti dei rincari sull’inflazione divenissero strutturali. In tal caso la crescita dei ricavi delle imprese italiane potrebbe ridursi di oltre il 50%, sebbene limitato a quei settori per i quali era attesa una ripresa più decisa quest’anno (per esempio, turismo, aeroporti, fiere e convegni). Sia nel caso si manifestasse lo scenario più ottimistico, sia in quello più catastrofico, l’intervento pubblico – a tutti i livelli di governo e in una logica di azione coordinata e sinergica – potrebbe dare impulso a un seppur faticoso superamento della crisi con misure concrete di sostegno mirato alle imprese in difficoltà nonché di mitigazione dei rischi, per esempio favorendo la creazione di partenariati tra pubblico e privato”.

Se lo scenario macro appare negativo proviamo a osservare una filiera meno “famosa” rispetto a energia o automotive. Il mondo della ceramica è uno delle quattro realtà propulsive dell’economia emiliana. Ne ho parlato con Angela Montanari, partner di Yourgroup: “Il perdurare dello scenario geopolitico ed economico causato dalla crisi russo-ucraino genererà un aumento dei costi di produzione delle aziende manifatturiere, particolarmente di quelle cosiddette energivore e di quelle che utilizzano materie prime provenienti da quelle zone del mondo. È possibile riorientare le filiere di fornitura da altri paese e zone geografiche. Tuttavia, i tempi del cambiamento sono lunghi e il periodo transitorio deve essere gestito sopportando maggiori costi con erosione delle marginalità, che potrebbe portare fino alla messa in discussione della sopravvivenza delle aziende. Consideriamo, per esempio, un’eccellenza dell’industria italiana ed emiliano-romagnola come quella ceramica: oltre ad essere decisamente energivora, la principale materia prima utilizzata, la creta, è quasi interamente di provenienza ucraina. Il trasporto avviene via nave, in partenza dai principali porti del Mar Nero per arrivare al porto di Ravenna. Riorientare la filiera di fornitura di questa importante materia prima può significare guardare alla Turchia o all’Africa, ma non prima avere eseguito complesse analisi chimico-fisiche sulla qualità della materia prima nuova. Per quanto la creta possa sembrare un materiale semplice, ogni tipologia di creta ha elementi minerali differenti. In fase di processazione della materia prima o di cottura, tutta la filiera dei macchinari deve essere sintonizzata sui nuovi standard chimici della creta”.

Covid, la crisi della supply chain e l’Ucraina implicano veloci mutamenti a cui ogni azienda deve porre velocemente una soluzione. Cerchiamo di comprendere come, dal lato umano e organizzativo, le Pmi possono attivarsi per affrontare positivamente il cambiamento.

“La pandemia prima e lo scoppio del conflitto Russia-Ucraina poi hanno toccato i nervi scoperti delle supply chain che, sebbene vitali per la competitività del nostro sistema Paese e leva di crescita per le imprese di dimensioni più contenute, si sono rivelate sempre più vulnerabili proprio perché per loro natura interconnesse e globali”, chiarisce Rallo. “Non esiste una ricetta anti-crisi sicuramente efficace che possa aiutare le Pmi a difendersi da conseguenze che potrebbero rivelarsi irreparabili. Tuttavia, alcune soluzioni potrebbero ridurne il rischio di non-ritorno alla normalità. Alleanze e cooperazione sono, per esempio, ingredienti importanti per la resilienza delle supply-chain, poiché favoriscono l’attivazione di provviste alternative e tamponano la volatilità dei mercati. A livello europeo, per esempio, è attiva la piattaforma B2b Supply Chain Resilience, promossa da Enterprise Europe Network, di cui Finlombarda è partner tramite il consorzio Simpler, in collaborazione con la European Cluster Collaboration Platform e il supporto della Commissione Europea e EISMEA, nata con l’obiettivo di supportare le imprese a mantenere, ristrutturare o sostituire le catene di approvvigionamento esistenti messe a dura prova o interrotte dalla pandemia e dalla crisi Ucraina. La piattaforma conta a oggi quasi 700 imprese in quei settori che sono più esposti tra i quali agroalimentare, industrie ad alta intensità energetica, mobilità, trasporti, automotive, tessile, che l’hanno utilizzata per pubblicare offerte e richieste di materie prime, componenti e/o beni o servizi, incontrare fornitori e acquirenti di beni e servizi, stabilire contatti transfrontalieri con altre imprese. Anche il modello dell’innovazione distribuita e trasversale applicata alle catene di fornitura crea benefici e valore per le imprese coinvolte, dalle più grandi, che solitamente rappresentano i “capi filiera” e che possono risentire a cascata delle difficoltà dei fornitori, alle più piccole che dalla partnership con le prime sono sollecitate ad adattarsi rapidamente ai cambiamenti improvvisi della domanda e alle interruzioni impreviste. Le nuove tecnologie come l’Intelligenza Artificiale e la blockchain potrebbero rivelarsi strumenti efficaci per supply-chain intelligenti e di gestione dei rischi di fornitura. Il ricorso inoltre a fonti di finanziamento alternative al tradizionale canale bancario unito a un’attenta pianificazione finanziaria di medio-lungo termine, aiuterebbe le realtà imprenditoriali più piccole nell’accesso al credito grazie a soluzioni capaci di sostenere le intere filiere produttive”, conclude Rallo.

La disruption della supply chain si traduce, oltre alla necessità di trovare nuovi fornitori, anche nella necessità di avere risorse umane adatte a gestire scenari inflattivi, prezzi di acquisto mutevoli etc. in fatto di finanza straordinaria. Trovare le risorse umane, specialmente con un’elevata qualifica, non è cosa facile. Per molte Pmi trovare figure che possano generare valore, pur rimanendo nei “budget” dell’imprenditore, può essere sfidante. La fluttuazione dei prezzi e uno scenario inflattivo sono elementi che dovrebbero essere considerati, quando si parla di risorse umane. Molti dei manager attuali, direttori finanziari, direttori acquisti, hanno vissuto decenni senza eventi di questo genere. Per molte Pmi comprendere se sia il caso di arruolare risorse, anche su base temporanea o frazionale, potrebbe essere una soluzione.

Mi spiega Montanari: “È un fatto che, da oltre vent’anni, le aziende lavorino in quasi totale assenza di inflazione e con fluttuazione dei prezzi delle materie prime fluide. Può sembrare naive, ma le aziende si trovano ad essere oggi gestite da una generazione di bravissimi manager, i quali però non avuto occasione di misurarsi con una volatilità inflattiva come quella che presumo caratterizzerà gli anni a venire, con modifiche significative all’interno del paradigma di supply chain finance. Questo comporta la necessità per le aziende di mettere in atto sia iniziative formative per i propri manager che di dotarsi di supporto esterno come specialisti senior che abbiano significativa esperienza con la fluttuazione della moneta e dei mercati delle materie prime”, conclude Montanari.

Con le sfide che si palesano all’orizzonte le Pmi italiane devono comprendere come attivarsi immediatamente per essere pronte. A oggi il tessuto economico italiano è già sotto forte stress, con il personale dirigenziale che deve “estendersi” oltre le mansioni standard, il rischio che la crisi ucraina possa divenire una crisi aziendale nazionale è elevato. In tal senso una maggior flessibilità nella gestione delle risorse umane, della pianificazione di organigrammi e dei progetti è obbligatoria.

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