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Kissinger, Cina e Russia, l’arte della Guerra fredda

Giancarlo Elia Valori

Giancarlo Elia Valori

Sia pure a 99 anni, Henry Kissinger mette in guardia l’amministrazione statunitense di non cercare una lotta all’ultimo sangue con la Repubblica Popolare della Cina, in quanto si potrebbe andare incontro ad un conflitto mondiale. Ed è bene ricordare che nel 1972, fu proprio Kissinger – allora consigliere per la sicurezza del presidente Richard Nixon – il segretario di Stato era William Rogers – ad avviare i negoziati con Mao Zedong e Zhou Enlai che condussero al disgelo fra la Città Proibita e la Casa Bianca, e alla fine della guerra in Vietnam con l’Accordo sulla fine della guerra e il ripristino della pace in Vietnam (27 gennaio 1973) e alla famosa caduta, e fuga degli elicotteri da Saigon, il 30 aprile 1975.

Kissinger non si è unicamente limitato ad ammonire l’amministrazione Biden, ma ha parlato anche dell’inconsistenza dell’Unione Europea, sia pure in termini edulcorati da maestro di diplomazia e politica estera. Esaminando le performance coloniali dei capi di Stato, e primi ministri europei di oggi – dal francese Emmanuel Macron, al tedesco Olaf Scholz, gli italiani non li ha nemmeno citati in quanto esistono solo come maschere della Commedia dell’Arte – Kissinger ha affermato che lo ha rattristato che l’attuale «leadership europea non abbia il senso dell’orientamento e della missione» che i precedenti capi di Stato, come Adenauer e de Gaulle – noi aggiungiamo Moro, Fanfani, Andreotti e Craxi – hanno portato ai loro ruoli.

È chiaro il riferimento alla guerra russo-ucraina, che – a nostro avviso – va visto in maniera oggettiva e senza dar spazio a retoriche e piagnistei di sorta.

Dall’inizio del 2014, l’Ucraina – un Paese allora poco visibile – è diventata il fulcro di un dibattito limitato e nascosto. Nel febbraio 2014, è stato rovesciato il presidente Viktor Fedorovych Yanukovych – legittimamente eletto – mediante una rivolta anticostituzionale, e l’Europa ha taciuto. Successivamente, i disordini si sono sviluppati rapidamente e hanno raggiunto il culmine: in primo luogo, con l’intervento delle forze militari russe, la Crimea – regalata da Chruščëv per capriccio il 19 dicembre 1954 alla Repubblica Socialista Sovietica dell’Ucraina – aveva dichiarato l’indipendenza e si era unita alla Federazione Russa con un referendum. In Ucraina orientale ha preso il via un movimento separatista con l’obiettivo di recedere dal Paese, dove la minoranza russa, corrispondente al 17,3% della popolazione, è ritenuta di Serie B. Tutto questo ha portato allo scoppio della guerra civile che ha causato migliaia di morti russi, gettati nel silenzio dai media occidentali. Media occidentali che hanno osato adottare la parola Olocausto per le vittime ucraine nella guerra in corso, dimenticando i crimini di Bandera contro gli ebrei (cfr. Israeli ambassador ‘shocked’ at Ukraine’s honoring of Nazi collaborator, in Time of Israel del 15 dicembre 2018).

L’Ucraina era diventato un Paese fuori controllo: non solo la parte orientale era caduta in uno stato di guerre intermittenti, ma lo Stato aveva perso la capacità di controllare il proprio destino nella competizione tra le grandi potenze, ed era/è diventato carne da cannone nel gioco dei grandi poteri.

Dietro il conflitto in Ucraina non c’è solo il rapporto tra Kiev e la regione orientale, e l’escalation del conflitto tra Russia e Ucraina, ma anche la contesa tra Russia e Stati Uniti d’America. La guerra civile ucraina non è solo derivata dalle divisioni interne causate dalla politica del governo che ha rovesciato il presidente legittimamente eletto, ma è anche una guerra per procura tra Mosca e Washington, con quest’ultima che punta alla perdita di valore dell’euro rispetto al dollaro statunitense.

Come si nota bene la crisi ucraina ha diverse sfaccettature e interazioni globali che vanno oltre lo scenario improvvisato per media e luoghi comuni.

Recentemente Sua Santità Papa Francesco il 3 maggio scorso, interpellato sulle possibili cause del dramma ucraino ha ipotizzato “un’ira facilitata” forse inizialmente dall’”abbaiare della NATO alla porta della Russia. Un’ira che non so dire se sia stata provocata, ma facilitata forse sì”, ha detto il Pontefice.

Cosa significano le parole del Santo Padre? In breve che nelle relazioni internazionali – di cui la Santa Sede è Maestra – sono due cose che contano: il rispetto verso l’altro e l’ignoranza. Il primo da porre sempre come elemento fondante di pace, il secondo da debellare, specie in Paesi come il nostro ed altri, in quanto fattore di guerra.

In primo luogo, la Russia non può restare a guardare la situazione politica in cui l’Occidente controlla la sua zona cuscinetto strategica circostante. Ossia i Paesi dell’ex Patto di Varsavia e delle ex Repubbliche Sovietiche. Ciò consente alla Nato di espandersi verso est fino ai Paesi della Comunità di Stati Indipendenti per minacciare la sicurezza dei suoi confini, e soprattutto non vuole concedere agli Stati Uniti d’America alcun opportunità di trasformare l’Ucraina in una testa di ponte militare per contenere e minacciare – con l’arma atomica alle frontiere – lo Stato russo. Sebbene la causa apparente del colpo di Stato del febbraio 2014 fosse che Yanukovich ostacolasse l’adesione dell’Ucraina all’Ue, la medesima Ue e la Nato non potevano essere semplicemente confuse, facendo la prima da copertura d’entrata alla seconda, ch’è un’organizzazione invece, militare. L’esperienza storica dell’integrazione dei tre Paesi baltici (più la Georgia in fieri) nel sistema occidentale e l’ansia per la sicurezza della Russia per l’inclusione dell’Ucraina nella Nato sono evidenti, perché una volta che il governo ucraino si è completamente rivolto all’Occidente e si è posto al servizio degli Stati Uniti d’America, e non potrà più essere indipendente e non-allineato come in precedenza.

Perché l’Unione Sovietica era rispettata e alla Russia non si deve tale forma di considerazione? Perché con l’Unione Sovietica, dopo i fatti della primavera di Praga, un’Europa ancora divisa ma saggia (e oggi invece unita solo dal danaro delle banche e dei banchieri) e un’Occidente acuto, con l’accordo di Mosca (Leonid Breznev) e Washington (Gerald Ford), hanno varato la Conferenza di Helsinki 1975 sulla sicurezza e la cooperazione in Europa? (Partecipò anche il segretario di Stato 1973-77, Henry Kissinger). Perché oggi invece un’Europa impotente, semi colonia degli Stati Uniti d’America – col Regno Unito 51ª stella – assieme alla Casa Bianca hanno finto di non vedere cosa stesse accadendo in Ucraina? Perché hanno chiuso gli occhi su questo conflitto che si protrae dal 2014, e hanno fomentato l’andata al potere di persone che incitando l’odio contro la Russia, si sono illuse che la Nato accorresse in loro aiuto trasformando il nostro Continente in una vasca di sangue per i loro scopi? Forse credevano taluni che la Russia fosse ancora quella di El’cyn pronta ad aprirsi – in tutti i sensi – al primo padrone che passa da lì?

Ecco i casi in cui manca il rispetto e trionfa l’ignoranza: per cui la guerra si fa strada. Si sperava altrove che l’Europa entrasse per volontà terze in guerra, trascinata per procura contro la Russia. Un intervento che avrebbe seguito le orme di quelli effettuati in prima persona in Somalia, Iraq (due volte), Libia, Siria e Afghanistan, tutti falliti ed esportatori di sangue e morte e non certo di democrazia: anzi apportatori di rivalse e vendette.

Tornando a Kissinger, la geopolitica e le relazioni con le grandi potenze sono un tema centrale del suo nuovo libro, Leadership: Six Studies in World Strategy. Il volume si concentra su sei leader chiave: il tedesco Konrad Adenauer, il francese Charles de Gaulle, Nixon, l’egiziano Anwar Sadat, il primo ministro britannico Margaret Thatcher e l’influente primo primo ministro di Singapore Lee Kuan Yew.

Kissinger, alla domanda su come se la caverebbero i leader ritratti nel suo libro nel mondo di oggi, ha affermato che Lee di Singapore sarebbe il migliore dei sei a ricoprire la carica di presidente degli Stati Uniti d’America, se una cosa del genere fosse possibile.

Quest’è la situazione.

 

*President of the International World Group

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