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Difesa e sicurezza, il nuovo ruolo europeo

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La crisi dei semiconduttori successiva alla prima ondata pandemica ed il recente conflitto ucraino-russo hanno enfatizzato i rischi di un sistema produttivo sempre più interconnesso, incardinato su materie prime limitate e concentrate in poche aree geografiche, dunque soggette a forti influenze geopolitiche. Si può parlare in tal senso di capitalismo politico, inteso come strumentale sovrapposizione tra interessi economici e geopolitici, oggi inevitabilmente al centro delle agende internazionali.

È oggi più che mai evidente che le nuove direttrici di sostenibilità e digitalizzazione richiedono per la loro implementazione un ricorso sempre maggiore a risorse strategiche a rischio (si pensi al gas per la transizione verde o ai chip come componente a supporto di filiere dall’alto valore tecnologico e industriale) che necessitano di strutture e competenze altamente complesse e specializzate.

Proprio in considerazione dell’evoluzione degli scenari di guerra, la difesa tradizionalmente intesa è stata portata al centro del dibattito non soltanto a livello nazionale, ma anche europeo ed internazionale.

L’Unione Europea ha infatti confermato il proprio approccio intergovernativo alla politica di sicurezza, come definito dalla Bussola Strategica presentata dall’Alto Rappresentante Josep Borrell.

Una possibile ulteriore accelerazione nel processo di integrazione europea, dunque, dopo il cambio di passo segnato dal Next Generation EU in ambito economico e sociale, che vede tanto la difesa attiva quanto la salvaguardia preventiva della tenuta dell’Unione al centro dei propri obiettivi.

Il processo di integrazione europeo, infatti, si fonda anche sul ruolo primario che l’Unione gioca e può giocare sullo scacchiere geopolitico globale, nel parlare con un’unica voce e nel portare avanti gli interessi dei propri Stati Membri, agendo in chiave proattiva rispetto ai possibili scenari legati alla possibile trasformazione della governance economica mondiale.

Occorre creare strumenti comuni di salvaguardia attiva e preventiva, che abbiano tre obiettivi, tra loro complementari.

Anzitutto, l’indipendenza strategica del tessuto istituzionale e socio-economico: basti pensare allo European Chips Act, che punta a rendere l’Europa meno dipendente dalle catene del valore globale.
Gli ultimi mesi, con il degenerare della crisi ucraino-russa, hanno poi messo in luce la necessità di diversificare gli approvvigionamenti per rendere il sistema produttivo efficiente e non soggetto a oscillazioni esogene. È questo uno degli obiettivi del programma REPowerEU, presentato lo scorso maggio dalla Commissione Europea. L’efficace attuazione dei piani e dei programmi comuni consentirebbe anche di raggiungere l’obiettivo chiave di rafforzare la leadership dell’ecosistema europeo, con una nuova capacità di attrarre investimenti privati che, in sinergia con le politiche e le risorse pubbliche, favoriscano anche quell’accelerazione nelle transizioni verde e digitale che le crisi recenti hanno imposto come necessità.

Questo nuovo ruolo dell’Europa potrà altresì essere supportato, sul piano interno, da una nuova cooperazione mutuale di lungo termine e non emergenziale tra stati membri, che potrebbe rafforzare e facilitare l’acquisizione di un consenso condiviso nella formazione dei processi negoziali dell’Unione.

Si consideri ad esempio il recente riavvicinamento dell’Italia con la Francia, che hanno visto, con la firma del Trattato del Quirinale, il riconoscimento dell’intreccio di interessi che intercorrono tra esse. La costruzione di percorsi sinergici istituzionali, prima, e industriali, poi, che facciano leva sui valori e principi comuni, è un passaggio quantomai necessario per far leva sulle peculiarità condivise e produrre ricadute diffuse, in un’ottica policentrica non più solo nazionale.

 

*Claudia Bugno è strategic advisor con lunga esperienza nel mondo pubblico e industriale negli ambiti del crisis management, della pianificazione per lo sviluppo del business

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