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L’innovazione non ha colore

industria 4.0 innovazione

Le urne hanno dato il loro responso e siamo all’inizio di una nuova legislatura, in uno dei momenti più straordinari della storia del nostro Paese. Abbiamo alle spalle una crisi senza precedenti innescata dall’emergenza sanitaria e davanti opportunità e risorse, egualmente inedite, con le quali ripartire, progettando e costruendo il nostro futuro.

È, probabilmente – ma verrebbe da dire auspicabilmente – scontato dire che la trasformazione digitale e l’innovazione in generale dovranno essere protagoniste indiscusse dell’azione del nuovo Governo e del nuovo Parlamento. E, d’altra parte, i numeri del Pnrr suggeriscono che è così che andranno le cose. Il punto, dunque, non è – o, almeno, non dovrebbe essere – se, ma come si metteranno trasformazione digitale e innovazione al centro del nuovo programma di governo.

Ecco due suggerimenti in questo senso.

Il primo: guai a dimenticarsi che innovazione e trasformazione digitale non hanno e non devono avere un colore politico e che sarebbe un disastro se i nuovi arrivati – e ‘arrivandi’ – demolissero o, solo, rallentassero (secondo un’antica abitudine italica) il poco che sin qui è stato fatto lungo il cammino della trasformazione digitale del Paese, solo perché si tratta di progetti nati in una stagione politica diversa.

Senza giri di parole e reticenze: l’identità digitale (Spid), l’app di cittadinanza digitale (Io), il domicilio digitale dei cittadini, i processi telematici, il processo di migrazione dei sistemi informatici delle amministrazioni dai sottoscala al cloud, il fascicolo sanitario elettronico o l’Anagrafe – finalmente unica – della popolazione residente, sono progetti centrali nell’infrastruttura immateriale del Paese sui quali bisogna continuare a investire, migliorandoli ma resistendo a qualsiasi tentazione di radicale ripensamento o cambiamento di rotta.

Il secondo: il Paese è adagiato su un giacimento di dati e informazioni in possesso della pubblica amministrazione che ha un valore economico, culturale, sociale e democratico inestimabile e che se valorizzato può decuplicare le risorse del Pnrr, rilanciare interi comparti industriali di casa nostra che annaspano, migliorare la vita dei cittadini e le loro condizioni di salute e, soprattutto, cambiare radicalmente in meglio il modo nel quale si governa il Paese passando da un approccio ‘a sentimento’ o cabalistico, a un approccio moderno di tipo ‘data driven’ nel quale ogni scelta, a livello locale o nazionale, è basata sull’analisi dei dati e sulla proiezione ex ante – anche grazie ad algoritmi e intelligenza artificiale – del suo impatto.

Non c’è niente di fantascientifico, futuristico o immaginifico. Per raggiungere questo risultato è però indispensabile che i dati siano liberati dai silos verticali nei quali sono custoditi dalle singole amministrazioni e istituzioni dello Stato e messi a fattor comune, trattati come beni comuni del Paese che possono e devono essere fatti circolare il più possibile – nel rispetto delle regole sulla protezione dei dati quanto applicabili – a beneficio di cittadini, imprese e amministrazioni.

La battaglia che aspetta chi siederà nelle stanze dei bottoni, qui ha un titolo semplice: sconfiggere la gelosia dei dati e la subcultura nazionale dilagante, secondo la quale tenere per sé dati dei quali si ha la disponibilità in ragione di ruolo e funzioni che si ricoprono, significa difendere il proprio potere, la propria autorità, la propria centralità nella vita dello Stato e del prossimo. È il più egoistico degli atteggiamenti ma è diffuso nella nostra amministrazione, nelle cose della salute come in quelle della giustizia, nelle cose dei trasporti come in quelle dello sviluppo economico.

La versione originale di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di ottobre 2022. Ci si può abbonare al magazine di Fortune Italia a questo link: potrete scegliere tra la versione cartacea, quella digitale oppure entrambe. Qui invece si possono acquistare i singoli numeri della rivista in versione digitale.

 

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