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Emergenza salariale, poveri anche lavorando

inflazione economia

In Italia si è aperta una vera e propria emergenza salariale. Infatti l’impennata dell’inflazione, legata alla crescita dei prezzi dei beni energetici e poi anche di altri beni di consumo, ha aggravato una condizione di disagio diffuso. Tant’è che molto spesso si è poveri anche lavorando.

Diversi studi ci dicono che negli ultimi mesi del 2022 l’inflazione in Italia ha toccato l’11,8%. Il parziale rallentamento che ora si registra non influisce più di tanto, vista anche la frenata della crescita economica. I salari, infatti, già tra i più bassi rispetto ai maggiori Paesi europei, continuano a perdere potere d’acquisto. Come è noto, l’inflazione è una tassa profondamente iniqua che colpisce in primo luogo le famiglie con i redditi più bassi. A dimostrarlo con chiarezza sono i dati Istat sui prezzi al consumo relativi al 2022. Preso a riferimento il criterio di spesa equivalente e divise le famiglie in cinque fasce, risulta che per quelle del primo quintile la quota di incidenza dell’inflazione è del 12,1% e del 7,2% per la fascia più alta. In sostanza, l’inflazione nelle condizioni attuali è un fenomeno assai rilevante. Incide sul sistema produttivo, sulla redistribuzione del reddito, su salari e pensioni.

L’emergenza salariale è poi connessa con la proliferazione di posti di lavoro precari. Oggi cresce il lavoro a tempo determinato, assai spesso con contratti di breve durata, l’11,3% delle lavoratrici e dei lavoratori svolge un impiego part-time senza averlo scelto, il 10% degli occupati è sotto la soglia di povertà.

Con le decisioni dell’attuale Governo la situazione è destinata a peggiorare: si reintroducono i voucher che fanno crescere la precarietà, non si fa una riforma che colpisca l’evasione fiscale, aumenti il prelievo sulle rendite finanziarie e lo riduca sulle buste paga e le pensioni, non si accresce la tassazione sugli extraprofitti, ma si approfondiscono i divari territoriali e sociali con una proposta di riforma istituzionale che divide il Paese.

I salari invece devono crescere, sia attraverso il rinnovo dei contratti collettivi di lavoro, recuperando tutta l’inflazione creata, sia portando la decontribuzione dall’attuale 2% almeno al 5% per i redditi medio bassi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Inoltre bisogna investire sul lavoro, superando quelle norme che lo hanno reso precario, riconoscendo la validità generale dei contratti su cui definire salario minimo e tutela per chi oggi non ne ha, riconoscendo il diritto alla formazione permanente. Sono scelte da fare oggi, ma che possono dare nuovamente una speranza nel futuro.  Diversi studi ci dicono che negli ultimi mesi del 2022 l’inflazione in Italia ha toccato l’11,8%. Il parziale rallentamento che ora si registra non influisce più di tanto, vista anche la frenata della crescita economica. I salari, infatti, già tra i più bassi rispetto ai maggiori Paesi europei, continuano a perdere potere d’acquisto. Come è noto, l’inflazione è una tassa profondamente iniqua che colpisce in primo luogo le famiglie con i redditi più bassi. A dimostrarlo con chiarezza sono i dati Istat sui prezzi al consumo relativi al 2022. Preso a riferimento il criterio di spesa equivalente e divise le famiglie in cinque fasce, risulta che per quelle del primo quintile la quota di incidenza dell’inflazione è del 12,1% e del 7,2% per la fascia più alta. In sostanza, l’inflazione nelle condizioni attuali è un fenomeno assai rilevante. Incide sul sistema produttivo, sulla redistribuzione del reddito, su salari e pensioni.

L’emergenza salariale è poi connessa con la proliferazione di posti di lavoro precari. Oggi cresce il lavoro a tempo determinato, assai spesso con contratti di breve durata, l’11,3% delle lavoratrici e dei lavoratori svolge un impiego part-time senza averlo scelto, il 10% degli occupati è sotto la soglia di povertà.

Con le decisioni dell’attuale Governo la situazione è destinata a peggiorare: si reintroducono i voucher che fanno crescere la precarietà, non si fa una riforma che colpisca l’evasione fiscale, aumenti il prelievo sulle rendite finanziarie e lo riduca sulle buste paga e le pensioni, non si accresce la tassazione sugli extraprofitti, ma si approfondiscono i divari territoriali e sociali con una proposta di riforma istituzionale che divide il Paese.

I salari invece devono crescere, sia attraverso il rinnovo dei contratti collettivi di lavoro, recuperando tutta l’inflazione creata, sia portando la decontribuzione dall’attuale 2% almeno al 5% per i redditi medio bassi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Inoltre bisogna investire sul lavoro, superando quelle norme che lo hanno reso precario, riconoscendo la validità generale dei contratti su cui definire salario minimo e tutela per chi oggi non ne ha, riconoscendo il diritto alla formazione permanente. Sono scelte da fare oggi, ma che possono dare nuovamente una speranza nel futuro.

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