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Influencer scrittori e mercato editoriale, una ricetta che non (sempre) funziona

Che dietro ai followers di molti influencers, troppo spesso si celino dei bot, è abbastanza prevedibile. Esistono addirittura app specifiche (come ‘Social Blade’), che attraverso l’analisi dell’andamento di follower e following di un profilo permettono di ‘smascherarlo’: verificando se questo ha subìto una crescita naturale o se, al contrario, il suo sviluppo presenta delle zone d’ombra. Magari dovute proprio all’acquisto di fan fittizi. Tuttavia, i big che gestiscono il mercato editoriale (così come qualunque altro esperto di social media marketing), non sembrano averlo capito. Ignorando che no: tanti followers non corrispondono a più copie di libri vendute. E continuando per questo a ‘ingaggiare’ influencer scrittori.

L’obiettivo? Il profitto. A scapito di migliaia di aspiranti autori che si affannano a inviare manoscritti che nella migliore delle ipotesi vengono guardati rapidamente. Nella peggiore – e più veritiera – bypassati da case editrici e agenzie letterarie per dare priorità a chi un libro nemmeno ha mai immaginato di scriverlo, ma riceve migliaia di likes per post.

Di certo lo scopo dei colossi del libro non è quello di risollevare il mercato editoriale, come pure potrebbe sembrare. O promuovere la cultura in generale, dal momento che questi testi spesso hanno un linguaggio estremamente semplificato: soggetto, verbo, e se va bene complemento. Non vorrei esagerare né scomodare Hidegger, ma il linguaggio è la casa dell’essere. Se è povero, è perché il pensiero è povero”, dice un po’ provocatoria a Fortune Italia Giada Trebeschi, che di libri si occupa da anni. “E poi: possibile che siamo diventati tutti scrittori?”

Giada Trebeschi è un’autrice italiana di narrativa storica, thriller, opere teatrali e sceneggiature. Ha fondato insieme a Divier Nelli, Mariano Sabatini l’Agenzia Maieutica Letteraria ed è editor per la casa editrice Oakmond Publishing

Trebeschi può permettersi di essere polemica. Siede a entrambi i lati della scrivania: è una scrittrice, ma è anche fondatrice della ‘Agenzia Maieutica Letteraria’ ed editor per la casa editrice ‘Oakmond Publishing’. Insomma, i libri li scrive, li legge e li corregge.

All’ingresso della Oakmond Publishing c’è una massima incisa a fuoco. “Non esistono libri morali o immorali, commerciali o invendibili, di genere o letterari. I libri sono semplicemente libri scritti bene o scritti male”. È una frase di Oscar Wilde. “Chi lavora con gli scrittori dovrebbe tenerla a mente. Questo è tutto”, commenta Trebeschi.

Ogni giorno nel nostro Paese vengono pubblicati circa 120 nuovi libri. Ma i lettori in proporzione sono molti meno. Secondo gli ultimi dati Istat, aggiornati al 2022, ad aver letto almeno un libro nell’ultimo anno in Italia è stato il 40,8% della popolazione. Di questo gruppo il 14,3% ha letto almeno 12 libri l’anno. Ciò significa che la percentuale di chi legge almeno un libro al mese è più bassa: probabilmente attorno al 6%.

Anche per questo motivo ormai le case editrici cercano di attirare lettori puntando sui cosiddetti ‘casi social’. Scegliendo di ‘rischiare’ con persone che per i numeri alti su Instagram, Facebook o TikTok potrebbero ipoteticamente portare – come si suol dire – acqua al mulino.

“Il più delle volte a scrivere non sono neanche loro”, spiega Trebeschi. “Ma ghostwriter che vengono pagati profumatamente. Oppure editor costretti a rimaneggiare di molto un elaborato”.

In ogni caso, l’acqua al mulino arriva raramente. E anzi, è più facile che si lavori in perdita, per varie ragioni. Perché magari c’è troppa distanza tra ciò che una persona posta sui suoi account social e ciò che racconta nel libro (ad esempio, chi segue una influencer di moda potrebbe non essere interessato alla storia della sua infanzia). Oppure al contrario, perché nel libro sono scritte le stesse cose che l’influencer racconta sui suoi canali e allora nessuno avverte l’esigenza di acquistare un doppione.

Ma se i libri, neanche questi, li compra più nessuno, la ‘strategia editoriale’ – come la definisce Trebeschi – che senso ha?

La credibilità del libro

Certo, proprio nessuno no. Ci sono molti autori giovanissimi che vengono lanciati dai social e si rivolgono principalmente a un pubblico altrettanto giovane. Sono quelli che, a confronto con altri, vendono di più.

“È semplice intercettarli ed è semplice che le vendite di un libro scritto da loro siano superiori rispetto a quelle di un romanzo pubblicato da un esordiente sconosciuto o anche da un autore un po’ più navigato”, dice Trebeschi.

L’affermazione lascia un po’ di amaro in bocca. Perché dietro il romanzo “dell’autore navigato”, s’immagina, c’è una certa fatica. Dietro quello dell’influencer che fino a pochi giorni prima sponsorizzava uno shampoo anti effetto crespo, forse, meno.

Il punto è che il prerequisito fondamentale dell’utente selezionato è soltanto uno: sapersi vendere. Che sia in un video di quindici secondi registrato dalla propria cameretta o in un discorso davanti a una platea durante le presentazioni.

“Il libro diventa l’ultima cosa. E non è una coincidenza che venga tutto rimesso alle grandi case editrici. In fondo si tratta di aziende, il business viene prima di ogni cosa. Sulla copertina dei romanzi pubblicati dai casi social, c’è sempre la firma di una grande casa editrice. Perché sono le uniche che hanno la forza per fare la pubblicità necessaria, in un mondo, quello dei libri, che invece a poco a poco si indebolisce. Anche a causa di queste strategie che anziché aiutare il mercato lo affossano, perché fanno sì che persino un libro, oggetto simbolo della cultura, acquisisca meno valore”, lamenta Trebeschi.

È come se la lettura perdesse in un certo senso credibilità. Compri un libro perché lo vedi sponsorizzato ovunque, perché su ‘BookTok’ – l’hashtag di tendenza su TikTok dove spopolano i consigli di lettura attraverso video divertenti e creativi – hanno detto che: “È bellissimo”.

“Poi lo leggi, realizzi in fretta che è privo di contenuti e lo metti via. La volta successiva non ci caschi più”, spiega piuttosto tassativa Trebeschi, che sulla sua pagina Facebook è seguita da quasi 180mila followers, raggiunge mezzo milione di visualizzazioni a settimana, ma confessa che la percentuale di followers che compra i suoi libri è inferiore al 5%.

Ovviamente, se gli italiani leggono poco la responsabilità non è degli influencer che scrivono libri. “Gli influencer che incoraggiano i fan ad entrare in libreria sono comunque un fattore positivo. Il problema è che poi i fan dalla libreria escono”, ironizza.

Occorrerebbero anzitutto delle politiche di sostegno alla lettura più mirate che partano dall’alto ma che si proiettino verso il basso. Bene gli incentivi e gli strumenti come 18app. Ma la promozione della lettura, secondo Trebeschi, dovrebbe cominciare in età scolastica. Alle elementari, alle medie e sì, anche al liceo. “Ma non a diciotto anni quando bene o male la nostra identità culturale è già creata”, suggerisce la scrittrice e editor.

I social possono essere un ottimo strumento di auto-promozione. “Le case editrici dovrebbero cercare di pubblicare bei libri senza guardare il nome però, prima di tutto. Tanto i conti non tornano. Altrimenti, nella letteratura finiremo col credere in pochissimi”, conclude.

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