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Proteggere le generazioni future

Francesco Clementi

Francesco Clementi

Ogni generazione porta con sé un insieme unico di valori, convinzioni, atteggiamenti e modelli di comportamento che possono plasmare la società in modi significativi, in quanto ne influenzano direttamente le trasformazioni, modellando ogni volta il rapporto tra società e istituzioni.

Conseguentemente, per cercare di capire gli effetti dei passaggi generazionali, bisogna innanzitutto comprendere i cambiamenti in corso.

In questo quadro, dalla scorsa legislatura vi è un ulteriore elemento che spinge a farsi carico ‘dell’interesse delle future generazioni’ – e dunque della spinta a ricercare i modi e le forme per traghettare nel futuro chi c’è ma non conta ancora, o addirittura chi ancora non c’è – ed è quanto scritto nel rinnovato articolo 9 della Costituzione, che è stato appunto riformato per allineare l’ordinamento giuridico, le sue logiche e i suoi dispositivi lungo l’asse dello sviluppo sostenibile, in una prospettiva appunto intergenerazionale.

Allora quali elementi dobbiamo promuovere per evitare che i passaggi generazionali – inevitabili ma anche complessi per un Paese dove demograficamente la vita si allunga sempre più: e per fortuna aggiungiamo – non avvengano tuttavia, per paradosso, contro le future generazioni?

In primo luogo, va protetto e reso efficace il trasferimento di conoscenze e esperienze da una generazione all’altra. Infatti le generazioni più anziane, con le loro esperienze e conoscenze acquisite nel corso della vita, possono e debbono, attraverso l’insegnamento, il mentoring e la condivisione delle proprie storie, aiutare a promuovere l’apprendimento e favorire la continuità delle competenze e dei saperi che altrimenti potrebbero andare persi.

Poi si devono sostenere quei cambiamenti che allargano lo spazio democratico, rendendo la società più aperta, senza il timore di dover affrontare il cambiamento tecnologico accelerato che abbiamo di fronte, a partire dall’intelligenza artificiale, e gli effetti che ciò determina.

Infine, anche in un Paese composto prevalentemente da imprese familiari non bisogna comprimere la predisposizione al cambiamento tipica dei giovani, ossia la loro fisiologica volontà di sperimentare, rompere con le tradizioni consolidate e cercare nuove soluzioni per promuovere trasformazioni sociali significative. Non da ultimo perché non tutto è riconducibile ai numeri. E sperimentare è il primo passo per crescere.

Allora le parole chiave sono fiducia, apertura, programmazione e compresenza reciproca tra anziani e giovani, ossia favorire un processo di progressivo apprendimento che non spezzi tanto i fili della continuità delle linee di fondo della nostra democrazia, della nostra economia, della nostra società, quanto che irrobustisca gli stessi con linfa nuova, affermando e legittimando una nuova classe dirigente.

Solo così d’altronde i valori e le competenze che, costruite nel tempo, ci qualificano potranno essere davvero valorizzate, evitando che ogni passaggio generazionale sia vissuto, nella logica di un nuovismo ridicolo, come una negazione del passato o, con lo spirito di una resistenza cieca, antistorica e retrograda, come il simbolo di un passato che, pur consapevole, si rifiuta di voler passare.

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