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CSRD: quali sfide per le PMI italiane?

bioeconomia, sostenibilità
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Velasco25 Articolo

La grande attenzione alla sostenibilità integrata (ambientale, sociale e di governance) come collante dello sviluppo ha portato l’Europa ad adottare strumenti e misure che mirano a riconciliare l’approccio profit-oriented del “fare impresa” con l’interesse pubblico al perseguimento dei criteri ESG. L’obiettivo delle aziende di generare profitto per i propri shareholders oggi si accompagna in modo solidale alla creazione di valore per la società e per il contesto socio-economico in cui operano.

L’ultimo periodo ha visto il raggiungimento di due importanti traguardi in tal senso: a inizio luglio si è concluso il periodo di feedback pubblico sulla bozza di ESRS (gli standard europei di rendicontazione di sostenibilità, introdotti dalla Corporate Sustainability Reporting Directive), mentre a fine giugno l’International Sustainability Standards Board ha emesso i propri principi inaugurali, volti a migliorare la fiducia nelle informazioni aziendali sulla sostenibilità per informare le decisioni di investimento. 

Già nel mese di gennaio era stata posta una pietra miliare di questo processo, con l’entrata in vigore della Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), che comporta per circa 50.000 aziende la necessità di avviare un processo di disclosing di sostenibilità seguendo i nuovi European Sustainability Reporting Standards (ESRS). 

Se da un lato queste novità costituiscono una forte spinta verso una maggiore consapevolezza delle aziende e degli stakeholders, dall’altro la loro applicazione nel nostro tessuto imprenditoriale può rappresentare una sfida significativa.

È infatti necessario riflettere su come oggi le nostre piccole e medie aziende, finora escluse dall’obbligo di reporting non finanziario, possano rapidamente adattarsi ai nuovi obblighi, nonostante la prevista proporzionalità dei principi di rendicontazione a seconda della dimensione aziendale. Mentre gli standard di sostenibilità sono ancora in fase di redazione, ogni azienda potenzialmente coinvolta dovrà avviare un percorso di adeguamento nella raccolta e gestione dei dati necessari: un compito oneroso sotto diversi punti di vista. E, in tal senso, l’allargamento del set informativo alle catene del valore aziendali potrà comportare non poche difficoltà, considerati i diversi standard dei Paesi extra-europei.

Un secondo punto nevralgico è il rischio di credit crunch che potrebbe colpire le aziende meno efficienti ed efficaci nell’adozione della Direttiva: la rendicontazione capillare dei criteri di sostenibilità aziendali potrebbe infatti comportare un riorientamento degli investimenti verso le aziende maggiormente compliant. Basti pensare che la BCE lo scorso anno ha affermato che l’Eurosistema accetterà in garanzia per le proprie operazioni di rifinanziamento soltanto attività negoziabili e crediti di imprese e debitori conformi alla CSRD. Il tema di fondo è l’effettiva possibilità per le nostre PMI di avviare rapidamente percorsi 

di transizione verde della catena produttiva, di maggior attenzione alle tematiche di governance e di ricaduta sociale.

È quantomai importante che le aziende adottino un approccio proattivo, ma anche il settore pubblico dovrà fare la propria parte per sostenere questo processo di trasformazione di un tessuto imprenditoriale peculiare e caratteristico come quello italiano.

Formare, aggiornare le competenze e sostenere il processo di transizione sarà fondamentale in questa fase: se da un lato la premialità implicita verso aziende virtuose costituirà una spinta all’innovazione, dall’altro occorre lavorare in modo sinergico e strategico per garantire un futuro all’assieme di know-how, cultura aziendale, competitività che contraddistingue le nostre aziende.

*Founder e Managing Director di Futuritaly, strategic advisor con lunga esperienza nel mondo pubblico e industriale.

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