L’ “economia della magrezza”, com’è stata ribattezzata, è destinata a cambiare le nostre vite. Inizialmente i farmaci capaci di far dimagrire dovevano trattare essenzialmente il diabete, poi ne sono stati esaltati gli effetti contro l’obesità (con una sola iniezione settimanale), oggi se ne scoprono le conseguenze benefiche contro le malattie cardiovascolari e renali mentre proseguono i test per valutarne l’efficacia contro l’Alzheimer e le dipendenze da alcol e droga. La parola magica è semaglutide o, se volete, tirzepatide. Quello che gli scienziati hanno compreso, e che potrebbe ampliarne l’uso in modo ancora più estensivo, è che questi farmaci non agiscono soltanto contro la pancia grassa ma si legano anche ai recettori presenti in tutto il corpo e nel cervello, perciò sembrano in grado di ridurre lo stato di infiammazione cellulare in modo generalizzato interagendo con i meccanismi legati all’appetito e al senso di gratificazione.
Pensate che in America già un adulto su otto ha provato questi farmaci mentre nel mondo oltre due quinti della popolazione sovrappeso o obesa desidera accedere a questo trattamento. Perciò le società farmaceutiche stanno investendo massicciamente in queste cure “miracolose” che il miracolo lo fanno per davvero, perché le persone dimagriscono, eccome se dimagriscono. Star hollywoodiane come Oprah Winfrey sono diventate testimonial involontari. Due società su tutte la fanno da padrone: la danese Novo Nordisk, produttore di semaglutine, brandizzato Ozempic per i diabetici e Wegovy per la perdita di peso, e l’americana Eli Lilly, specializzata nella produzione di tirzepatide (efficace anche contro le apnee del sonno). A partire dal 2021 il valore di mercato di queste due società è cresciuto complessivamente di circa un trilione di dollari.
L’ “economia della magrezza” porta con sé conseguenze che già si possono intravvedere attorno a noi. Attualmente questi farmaci non sono per tutti a causa dei costi elevati (in America la tirzepatide costa più di 500 dollari al mese). Solo l’innovazione e la continua sperimentazione consentiranno una produzione su larga scala a prezzi più bassi. Quando ciò accadrà, vorrà dire che miliardi di persone potranno curarsi facilmente anche contro le malattie cardiovascolari, oggi tra le cause più diffuse di morte. Persone più sane e un’obesità potenzialmente azzerata ridurranno anche i costi a carico del servizio sanitario pubblico. E se questi farmaci saranno in grado di aiutare i tossicodipendenti a superare le loro dipendenze, pure il sistema giudiziario e penitenziario ne trarranno beneficio.
L’Economist, in un’interessante analisi, mette in guardia dal rischio che l’“economia dell’apparenza” accentui le differenze sociali, già oggi esistenti, tra quanti possono permettersi di dimagrire e quanti invece sono condannati a restare “grassi” per ragioni eminentemente economiche. Too poor to slim down, potremmo dire. Inoltre, una società dove tutti vogliono apparire magri e belli rischia di imporre determinati standard estetici con un grado di pervasività foriero di disturbi mentali o disordini alimentari. L’uso massivo delle punture “snellenti” ha molto a che fare con la vanità, non solo con la salute. Del resto, esiste una diffusa evidenza del fatto che le persone sovrappeso e obese siano più esposte a rischi di discriminazione sul posto di lavoro.
Quel che è certo è che il movimento della “body positivity”, che ha indotto prestigiosi marchi di moda a far sfilare sulle passerelle donne sovrappeso come controcanto al dominio della magrezza, esce sconfitto. I chili di troppo non sono sexy. Appena le persone hanno la possibilità di perdere peso in modo facile e veloce, lo fanno. Con i farmaci di ultima generazione il peso corporeo viene definitivamente eletto a nuovo “status symbol”, diventa ciò un indicatore di chi sei, dello stile di vita che conduci. Se riesci a perdere peso sei una persona ad alto reddito, se invece sei prigioniero della grassezza è un segno che guadagni poco. Naturalmente questo discorso vale nelle opulente società occidentali: in Uganda o in Congo la magrezza è segno del deserto economico e sociale, mentre qualche chilo in più rappresenta qualcosa di desiderabile, a cui aspirare, esattamente come accadeva nell’Italia del dopoguerra. E’ incredibile come tutto cambi in base alla geografia e a parità di peso.