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Buoni propositi per il Made in Italy: intervista a Carlo Capasa (Camera nazionale della moda italiana)

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Velasco25 Articolo

Artigianalità, investimenti sulla formazione, competitività delle piccole e medie imprese, sostenibilità. In un periodo complesso per il comparto italiano della moda – dopo anni di crescita si stima una frenata sui ricavi del 3,5% rispetto al 2023 – il presidente della Camera nazionale della moda italiana (Cnmi), Carlo Capasa, spiega a quali sfide dovrà andare incontro uno dei sistemi su cui si regge il concetto di Made in Italy.

Presidente, le piccole e medie imprese italiane sono il cuore del nostro sistema. Come renderle competitive?

La struttura della moda in Italia si basa su distretti specializzati composti da Pmi. Per renderle competitive è necessario supporto per la digitalizzazione, per l’internazionalizzazione e azioni sistemiche per preservare le competenze. Nel prossimo futuro mancheranno 75.000 addetti ai lavori solo nel comparto moda, in particolare artigiani, e si stima che le imprese in circa il 50% dei casi avranno difficoltà a reperire le figure professionali di cui hanno bisogno. Allo scopo di rendere competitive le Pmi italiane, stiamo portando avanti con le istituzioni un importante lavoro, partecipando ai Tavoli della Moda con il ministro Urso e chiedendo alcune urgenti attuazioni. Tra queste la rimodulazione dei prestiti e degli ammortizzatori sociali, a favore in particolare delle medie e piccole imprese che costituiscono il cuore della nostra filiera.

Dunque ci sono competenze che si stanno perdendo?

Il rischio che si corre oggi è il disperdersi delle competenze artigianali sviluppate e accumulate fino ad ora, che hanno la necessità di essere tramandate di generazione in generazione. Nella moda, e soprattutto nel Made in Italy, ci sono capacità altamente specialistiche che definiscono e rendono possibile la realizzazione di prodotti della qualità che conosciamo. È per il rischio di perdere questo saper fare e per la necessità di preservarlo che ritengo che investire sulla formazione sia indispensabile. Tanti brand lo stanno già facendo con l’apertura di Scuole e Accademie specifiche volte proprio a tramandare questi saperi. È necessario avvicinare i giovani a questo settore, concentrandosi soprattutto su tutte quelle professioni artigiane che spesso rimangono nell’ombra. L’intelligenza artificiale e le nuove tecnologie in questo senso rappresentano un’importante opportunità, ci immaginiamo infatti che l’artigiano del futuro sia un artigiano digitale. Una delle sfide di oggi è quella di trovare un bilanciamento tra tecnologia e umanesimo, senza togliere nulla al fattore umano che è rappresentato dalla creatività. È necessario, inoltre, che anche a livello di governo siano portate avanti azioni che possano preservare il sistema.

Qual è il più grande valore della nostra fashion week?

La Milano Fashion Week riesce a mettere insieme i più grandi e affermati brand che in tutto il mondo sono riconosciuti come ambasciatori del Made in Italy. Allo stesso tempo è capace di attrarre nuovi brand, a livello internazionale, che a Milano trovano un’importante vetrina di visibilità ma anche di business. Non dobbiamo infatti dimenticare la rete di più di 800 showroom, in cui sono rappresentati 3.000 brand presenti a Milano. La Milano Fashion Week è inoltre un evento importante per la città e per l’economia nazionale, trattandosi di una manifestazione di uno dei settori più strategici per l’Italia. Per dare un valore, le due edizioni della Milano Fashion Week di febbraio e settembre 2024 hanno generato per il capoluogo lombardo un indotto di 396 milioni, stando ai dati della Camera di Commercio. La rilevanza della Milano Fashion Week è dimostrata poi anche dall’earned media value prodotto, che ha raggiunto 44.869.301 di euro per l’edizione di giugno e 135.373.911 per quella di settembre, collocando la nostra fashion week al primo posto per la copertura mediatica generata.

Quello della moda è il terzo settore manifatturiero d’Italia. Cosa contraddistingue il Made in Italy?

Il Made in Italy rappresenta il saper fare italiano, una serie di capacità e competenze sviluppate e tramandate nei secoli che hanno portato alla creazione di prodotti di altissima qualità, senza trascurare mai l’aspetto creativo. Sono proprio il ben fatto, la creatività e la sostenibilità, che contraddistinguono il Made in Italy e che lo rendono riconosciuto e desiderato a livello mondiale. La moda è ambasciatrice nel mondo del Made in Italy: un primato che dobbiamo preservare e valorizzare sempre di più.

La moda si ritrova oggi a dover affrontare anche nuove sfide, tra cui appunto quella della sostenibilità, a cui lei tiene particolarmente.

Il tema della sostenibilità è centrale per il Made in Italy: le aziende italiane che producono prodotti di alta gamma sono intrinsecamente sostenibili e questa è una responsabilità importantissima che l’Italia ha, se consideriamo che più del 40% della produzione europea di prodotti di alta qualità proviene dal nostro Paese.

È da poco più di 10 anni che si è diffusa la consapevolezza dell’impatto che la moda ha sull’ambiente e sulle persone: da questa presa di coscienza, è iniziato un percorso lungo e non facile. Tuttora, infatti, manca una regolamentazione chiara che definisca la sostenibilità di un prodotto, anche per il consumatore. A questo scopo in Europa stiamo lavorando come European Fashion Alliance (Efa) – la coalizione che Cnmi insieme alla Federazione francese della moda, ha fondato nel 2022 – con l’obiettivo di definire i parametri per misurare la sostenibilità del capo. La legislazione deve ancora approfondire alcune tematiche e credo che una delle più urgenti sia in tema di responsabilità sociale, per tutelare le persone che lavorano nell’industria della moda e contrastare il lavoro irregolare.
A questo scopo abbiamo presentato un protocollo alla Prefettura di Milano, che speriamo possa essere utilizzato su base nazionale, per rendere trasparente la catena di fornitura e subfornitura, tracciando tutto con le blockchain e con il passaporto digitale. È necessario inoltre contrastare la sovrapproduzione e scegliere sempre di più, quando possibile, l’upcycling e il recycling, lavorando inoltre su nuove modalità come il renting dei capi e il second-hand.

In Italia un’altra iniziativa importante nata con il coordinamento di Cnmi è il consorzio ‘Re.Crea’ – fondato dal Gruppo Prada, Dolce&Gabbana, MaxMara Fashion Group, Gruppo Moncler, Gruppo OTB e Ermenegildo Zegna Group – per gestire il fine vita dei prodotti del settore tessile e moda e per promuovere la ricerca e lo sviluppo di soluzioni di riciclo innovative.

 

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