Parlando di leadership gentile e delle skills necessarie per i manager del futuro è importante fare chiarezza sui termini che utilizziamo e precisare la differenza sostanziale tra gentilezza e cortesia. Evidenziare questa diversità ci spinge ad analizzare le tre dimensioni fondamentali di questa imprescindibile skill: la forma, il contenuto e la motivazione. La gentilezza non è dunque soltanto cortesia e non può ridursi alla sola pratica esteriore, non può significare solamente imparare o replicare atteggiamenti e modi di fare strumentali che potrebbero anche essere validi per il breve periodo ma che risulterebbero ondivaghi a lungo andare. È necessario, invece, che vi sia un collegamento stabile tra i comportamenti esteriori, le intenzioni, le aspirazioni e le motivazioni profonde di chi si propone di agire con gentilezza nelle relazioni, personali e lavorative. Per questo i leader e manager dotati di gentilezza sono franchi e sinceri, proprio perché l’esercizio dei comportamenti gentili risulta ispirazionale anche per gli altri individui.
Spesso erroneamente viene associata la parola “gentilezza” principalmente a evidenze e manifestazioni relazionali di tipo “affabile”, “cortese” ma come detto la gentilezza non è solo cortesia, piuttosto è uno stato d’animo più complesso e profondo poiché rappresenta l’origine e l’anello di congiunzione di molte altre qualità. Importante sottolineare anche che essere gentili non significa rinunciare alla determinazione e all’ energia, non significa neanche – come qualcuno erroneamente indica – ignorare o sfuggire dai potenziali conflitti risultando deboli. Si può essere molto fermi nelle proprie convinzioni senza che questo implichi disattenzione o demonizzazione del pensiero altrui. Anzi, quanto più solidi e chiari sono i principi e le idee che caratterizzando un operato, minore è la necessità di presentarli in maniera ruvida, irrispettosa e priva di tatto relazionale.
Oggi abbiamo l’opportunità e la responsabilità di affrontare i nuovi modelli di leadership, consapevole e inclusiva. Troppo spesso le discussioni, i dialoghi e le tavole rotonde si limitano a decantarne le qualità e la relativa importanza, stilando elenchi e liste di atteggiamenti e comportamenti utili per i futuri leader e manager. Ciò non basta. Occorre non solo sapere indicare testualmente questi atteggiamenti ma piuttosto essere “ambasciatori” della gentilezza come modo di essere, ispirando dunque con il proprio comportamento gli altri. Come è noto ogni contesto lavorativo è inevitabilmente esposto a momenti di tensione e conflitto. Un leader gentile è in grado di affrontare i conflitti in modo empatico, mantenendo il focus sulla risoluzione piuttosto che sull’accusa. La capacità di ascoltare le diverse prospettive e di mediare tra le parti in modo rispettoso permette di trovare soluzioni collaborative e, spesso, più durature.
La gentilezza non significa evitare il confronto, ma affrontarlo con rispetto, facilitando il dialogo e creando un ambiente in cui i conflitti possono essere gestiti in maniera costruttiva e propositiva. Questo tipo di cultura aziendale non solo favorisce la soddisfazione e la fidelizzazione dei dipendenti, ma contribuisce anche a migliorare la reputazione dell’azienda stessa, attirando talenti e favorendo relazioni positive con clienti e partner.
Grazie alla gentilezza la leadership può essere “arricchita e completata” con l’autorevolezza. Quest’ultima, infatti, è quella capacità di essere influenti e stimati (dalle altre persone) e che molto spesso non è collegata a un ruolo specifico ma può essere solo riconosciuta dall’esterno in modo spontaneo.