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Shein rinvia la quotazione: dagli Usa all’Ue, i guai del gigante del fast fashion

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Velasco25 Articolo

Non sono tempi facili per Shein. Per il colosso del fast fashion i guai arrivano dall’Europa – dove Bruxelles ragiona su una stretta contro i prodotti illegali e pericolosi venduti sui marketplace online (come Shein, ma anche Temu e Amazon) – ma anche dagli Stati Uniti: i dazi di Donald Trump contro la Cina avrebbero già costretto Shein, secondo quanto riportato da Bloomberg, a spostare parte della produzione in Vietnam. E ora quella quotazione sulla Borsa di Londra, di cui si parla da anni, è stata nuovamente rinviata.

L’Ipo di Shein

Il Financial Times riporta che l’Ipo di Shein, prevista per i primi mesi dell’anno, slitterà alla seconda metà del 2025.

Una tempistica nero su bianco non è mai stata ufficializzata, ma lo scorso giugno Shein ha presentato richiesta di Ipo in Inghilterra, ma non è ancora arrivato il via all’operazione.

Spetta alla Financial Conduct Authority del Regno Unito l’approvazione della quotazione.

Perché l’Ipo di Shein è importante

La quotazione del colosso con sede a Singapore, che rivende nel mondo a prezzi stracciati capi di abbigliamento prodotti in Cina, è attesa da tempo. Prima di tutto perché rappresenterebbe un record per un mercato del continente europeo, e poi perché porterebbe finalmente nuova linfa vitale alla borsa londinese, che come altre piazze europee è in sofferenza da tempo.

Ma quanto vale Shein? I numeri sono progressivamente calati.

Nel 2023 l’azienda è stata valutata più di 65 mld di dollari in un round di finanziamento.

Shein inizialmente aveva scelto New York come sede per l’IPO. Poi ha virato su Londra dopo il no dei regolatori statunitensi.  In quel periodo la valutazione era stimata sui 90 mld. Se fosse andata in porto sarebbe stata la più grande di una società cinese in America.

L’impatto delle decisioni di Trump

Dal nuovo corso dell’amministrazione Usa arriva un impatto doppio per Shein: oltre all’aumento delle tariffe del 10% per tutte le merci cinesi si aggiunge la cancellazione delle esenzioni dedicate ai beni con valore inferiore agli 800 dollari, una manna per i prodotti a basso costo di aziende come Shein e Temu e della Cina stessa, che rappresenta la metà delle importazioni di beni a basso costo, secondo la Us Customs and Border Protection.

L’uomo invisibile: ritratto del Ceo del gigante cinese Shein

La lente UE

A inizio febbraio la Commissione europea ha inviato una richiesta formale di informazioni alla piattaforma cinese di e-commerce utilizzando i poteri previsti dal Digital Services Act, a un giorno dall’avvio di una stretta sulle importazioni di prodotti a basso valore venduti tramite rivenditori online ed extra-Ue, di cui oltre il 90% è di provenienza cinese.

Secondo il documento, il numero di pacchi di basso valore importati dall’Ue sarebbe quadruplicato, raggiungendo i 4,6 miliardi di euro, la stragrande maggioranza dei quali (il 90%) proverrebbero dalla Cina.

Tra le proposte, l’esecutivo Ue suggerisce l’abbandono dell’esenzione dai dazi dei prodotti sotto i 150 euro. Shein dovrà fornire le informazioni richieste su prodotti illegali, rischi relativi alla protezione dei consumatori e dei loro dati entro il 27 febbraio. Sulla base delle risposte, la Commissione deciderà i prossimi passi, inclusa la possibile apertura di un procedimento formale ai sensi del Dsa, che tra le punizioni prevede multe fino al 6% del fatturato annuo globale.

Una richiesta inviata parallelamente all’inchiesta coordinata dalla Rete di cooperazione per la protezione dei consumatori (Cpc) riguardante il rispetto della normativa dell’Ue, mentre a Bruxelles si lavora anche sulla creazione dell’Euca, per unire i dati doganali delle 27 autorità nazionali in modo da avere una maggiore visibilità sulle supply chain delle merci.

 

 

 

 

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