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Sarà la demografia a definire il futuro del sistema sanitario

L'impatto dell'invecchiamento della popolazione sul sistema sanitario.
Adyen Articolo
Velasco25

Se si vuole capire il futuro della sanità in Italia, più ancora che alla politica si deve guardare alla demografia.

Il fatto che i cambiamenti anno su anno siano ingannevolmente piccoli impedisce di vedere con chiarezza una direzione che risulta, però, molto difficile da modificare.

Per il 2025 e per parecchi anni a seguire è, allora, dolorosamente facile prevedere l’ampliamento del divario tra bisogni e risorse.

L’invecchiamento della popolazione e l’aumento della spesa pensionistica

L’invecchiamento della popolazione comporta un aumento delle cronicità e della non autosufficienza e la quota di over 65 è destinata a passare gradualmente dal 24% di oggi al 30% del 2035.

In termini assoluti, significa 3,2 milioni di over 65 in più, in un periodo in cui la popolazione potenzialmente attiva, tra i 15 e i 64 anni, diminuirà invece di quasi 2,7 milioni di individui.

Aumenterà, perciò, la spesa pensionistica, precludendo cambiamenti significativi nella spesa per la sanità (ferma al 6,3% del Pil in Italia, contro il 9-11% dei principali partner europei).

Il sistema sanitario pubblico sarà, allora, probabilmente in grado di coprire una quota ancora minore dei bisogni, stimolando solo in parte la spesa privata.

I problemi del Sistema sanitario nazionale

I dati, infatti, evidenziano che i territori in cui la spesa pubblica è più bassa registrano anche una bassa spesa privata.

La demografia farà sentire i suoi effetti anche sulla composizione del personale sanitario, accentuando uno squilibrio già forte tra la componente infermieristica, deficitaria, e quella medica.

Per i medici, al di là di alcune discipline, non si prospettano problemi di ricambio generazionale, visto che i posti nelle facoltà di Medicina sono più che raddoppiati rispetto al 2015.

Quella infermieristica, invece, è una professione in crisi di vocazione e sulla quale pesa non solo l’invecchiamento, ma anche il miglior trattamento economico facile da trovare all’estero, in Paesi vicini e lontani.

Già oggi, il Sistema sanitario nazionale si definisce universalistico ma non è in grado di coprire tutti i bisogni. In alcune aree del Paese e per alcune tipologie di cura, le prescrizioni sono il doppio delle effettive erogazioni.

E se è vero che la spesa per la sanità si attesta intorno al 6-6,5% del Pil da tempo, i bisogni sono aumentati.

Il 24% di popolazione over 65 di oggi è da confrontare con il 19% di vent’anni fa – un’evoluzione impattante, se si pensa che, a 65 anni, otto italiani su dieci soffrono di almeno una patologia cronica.

Se a questo aggiungiamo la compressione di ogni tipo di spesa pubblica non pensionistica, non possiamo illuderci che la spesa in sanità sia destinata ad aumentare, né che il sistema possa mai più essere universalistico nel senso che oggi viene talvolta invocato, ovvero un Ssn in grado di “dare tutto a tutti” e in tempi brevi.

Quali spazi di miglioramento?

Ma alcuni spazi di miglioramento, anche se non facili da percorrere, esistono, come si osserva nell’ultima edizione del Rapporto Oasi, il documento del Centre for research in health and social care management (Cergas) di Sda Bocconi School of Management che, ogni anno, valuta la salute del Sistema sanitario nazionale.

Il primo è la definizione di chiari criteri di priorità. Oggi, chi è in grado di navigare meglio il sistema riesce a ottenere le prestazioni, chi è socialmente più debole non ce la fa. Una forte scelta di campo (a favore, per esempio, dei cronici o degli anziani) creerebbe aspettative più realistiche e un sistema più trasparente e più giusto.

Il secondo è l’efficientamento. Ma si tratterebbe di un efficientamento impopolare, che dovrebbe passare, ad esempio, attraverso la riconversione di piccoli ospedali poco sicuri oltre che antieconomici, e di accorpare molti ambulatori nelle Case della Comunità in fase di realizzazione.

In modo forse controintuitivo, una strada ancora più impervia è quella dell’aumento del finanziamento al sistema sanitario, che comporterebbe tagli ad altri settori o assicurazioni integrative obbligatorie, a carico del cittadino. In alcuni Paesi europei, però, si sta andando in questa direzione.

Non rimane che l’innovazione tecnologica radicale, da accompagnare a una rivoluzione organizzativa e delle competenze dei professionisti.

La tecnologia potrà supportare efficacemente tutti quegli ambiti maggiormente standardizzabili come il monitoraggio dei parametri clinici, il supporto all’aderenza terapeutica, la gestione dell’accesso ai servizi per i pazienti, ma anche le decisioni cliniche.

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