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Alec Ross e l’Europa: “L’AI Act è una stupidaggine. Von der Leyen si dimetta”

alec ross
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Velasco25 Articolo

“L’Ai Act è una stupidaggine travolgente che ha congelato gli investimenti in Europa. L’idea di regolare l’intelligenza artificiale in questo modo è un’indicazione del fatto che ci hanno lavorato analfabeti tecnologici. E sono parole vuote anche gli annunci sui 200 mld di euro di investimenti in AI fatti da Ursula von der Leyen”. La bocciatura dell’Ue, secca e senza appello, è firmata Alec Ross. Il professore della Bologna Business School, autore tradotto in 24 lingue, ha aperto l’evento Emtech organizzato da MIT technology review presso l’Università Campus Biomedico di Roma.

‘I Furiosi Anni Venti’ è uno dei libri più famosi di Ross: parla di un nuovo contratto sociale tra Stati, aziende e persone, e l’argomento non potrebbe essere più attuale. Ma Alec Ross è stato anche ex consigliere di Barack Obama e Hillary Clinton (da Consigliere per l’innovazione del segretario di Stato, un ruolo creato su misura per lui), e ha conosciuto personalmente i padroni del tech americano che oggi, nel caso di Elon Musk, influenzano anche politica e geopolitica mondiale.

Il professore americano usa il “noi” quando parla d’Italia e il “loro” quando parla di Usa: ha origini abruzzesi e passa diversi mesi all’anno a Bologna. Ecco cosa ci ha detto a margine dell’evento.

Recentemente sulla situazione europea ha parafrasato Garibaldi: “Si fa l’Europa o si muore”, ha detto: abbiamo fatto qualcosa di significativo nelle ultime settimane? Ci sono segnali di risveglio europeo?

No, non è stato fatto nulla di significativo, solo polemiche. Perfino l’annuncio di von der Leyen su un’iniziativa da 200 miliardi di euro per l’AI non rappresenta un vero stanziamento. È semplicemente un obiettivo. Ursula von der Leyen deve dimettersi. È al comando da quasi sei anni, e sono stati più di mezzo decennio di occasioni perse per l’Europa. Non è in grado di guidare l’Europa. I discorsi non producono risultati. Quello che sento per la maggior parte dell’Europa sono solo parole. E laddove troviamo concretezza, di solito arriva dall’Europa dell’Est, da Donald Tusk in Polonia o da Kaja Kallas in Estonia. Entrambi sarebbero eccellenti sostituti di Ursula von der Leyen, così come lo sarebbe Mario Draghi. Basta discorsi, servono più azioni.

L’Europa può regolamentare le Big Tech senza auto-sabotarsi? È possibile trovare un equilibrio tra regolamentazione e competitività?  

No. La regolamentazione non è una strategia. Il Digital Markets Act e il GDPR producono poco più che scartoffie e obblighi di conformità. Creano lavoro per avvocati e burocrati, ma fanno ben poco per proteggere la privacy o i valori che identifichiamo come europei. Il mondo corre avanti, mentre in Europa gli imprenditori devono correre con uno zaino pieno di sassi. L’unica vera strategia per le imprese europee è quella basata sull’imprenditorialità, con un focus sull’immaginare, inventare e commercializzare il futuro e le sue tecnologie.

Macron ha annunciato 100 mld per l’AI nello stesso summit in cui von der Leyen ne annunciava 200: stiamo andando in ordine sparso? Intanto OpenAI, Google DeepMind e Anthropic stanno monopolizzando l’intelligenza artificiale. Deepseek ha trovato il modo di insidiarla. Noi in Italia ci concentriamo su tanti piccoli modelli specializzati o verticali. Quella del fare molto con poco è una strada vincente?

Invece di cercare di competere con americani e cinesi, che possono allocare centinaia di miliardi di euro nello sviluppo di grandi modelli linguistici fondamentali, penso che la vera opportunità per l’Europa sia sviluppare applicazioni nei settori di eccellenza. Per esempio, l’Italia non creerà un concorrente forte di OpenAI negli Usa o di DeepSeek in Cina. Ciò che può fare, però, è generare imprese da decine di miliardi di dollari in settori come la manifattura, l’agricoltura, l’alimentare e la logistica. Non è troppo tardi per sviluppare applicazioni basate sull’AI che cambieranno il mondo in questi ambiti. Macron è intelligente, ma ha poco tempo rimasto in Francia. La Francia ha un vantaggio rispetto all’Italia per il suo accesso all’energia nucleare, che l’Italia non avrebbe mai dovuto abbandonare. L’opportunità per l’Italia, e più in generale per l’Europa, è sviluppare applicazioni che saranno utilizzate in un mondo di 8 miliardi di persone e 196 stati sovrani.

Riesce a dare qualche consiglio agli europei su come comportarsi oggi con l’amministrazione Trump e le Big tech? Quale approccio la convince di più, ad esempio, tra quello più amichevole di Meloni e quello di Bruxelles? Penso a Starlink o a Palantir: l’egemonia del tech americano è un problema economico o geopolitico?  

Prima di tutto, penso che l’Italia debba ritenersi molto fortunata ad avere Giorgia Meloni come premier in questo momento. Non veniamo dallo stesso quartiere politico, ma credo che lei comprenda meglio di altri come interagire con un’amministrazione Trump, e questo mi dà speranza per il futuro.

Per quanto riguarda la risposta a Trump e a Big Tech, sono due questioni totalmente diverse e in gran parte scollegate. Con Big Tech, la prima cosa da fare è evitare di mettere tutte queste aziende nello stesso calderone. Nvidia è molto diversa da Amazon, che è diversa da Microsoft, che è diversa da Meta, che è diversa da Tesla, che è diversa da Apple. Possiamo raggrupparle tutte e chiamarle Big Tech, ma sarebbe un esercizio intellettualmente pigro che oscura il fatto che sono organizzazioni molto diverse, con culture e obiettivi molto differenti. Il miglior modo per competere con le grandi aziende tecnologiche americane è creare concorrenza.

Per quanto riguarda l’interazione geopolitica con l’amministrazione Trump, ciò che serve è forza. Non bisogna cercare di convincerli, non bisogna cercare di fare, e non bisogna immaginare nemmeno per un secondo che questa amministrazione abbia qualche affinità con l’Europa. L’unico sostegno che può esistere per l’Europa all’interno dell’amministrazione Trump riguarda specificamente Meloni e l’Italia, e si spera che questo ci risparmi il peggio del disastro, ma vedremo. L’atteggiamento di Bruxelles deve essere come quello del Canada: forte e non ingenuo.

L’Europa non ha prodotto aziende comparabili a Google, Apple o Tesla. C’è ancora speranza di vedere una Big Tech europea emergere nei prossimi 10 anni?  C’è un’azienda o una iniziativa (lei è praticamente bolognese, mi viene da pensare al Cineca) che l’hanno colpita?

Penso che il talento ci sia. Ciò che dobbiamo fare è sostenere l’imprenditorialità che nasce qui, affinché possa svilupparsi senza dover lasciare il continente.

Faccio un esempio dalla mia amata Bologna. Qui c’è un’azienda chiamata Cubbit, che si occupa di cloud storage distribuito. La loro offerta sul mercato compete, nella sostanza, con servizi come Amazon Web Services. Può diventare un concorrente credibile? Dal punto di vista tecnico, sì. Se potrà diventare un concorrente a livello finanziario dipenderà interamente dal mercato europeo e dalla sua volontà di sostenere aziende come Cubbit, anziché le big tech americane come Amazon.

Più in generale, per far crescere un settore tecnologico competitivo, dobbiamo ridurre il livello di burocrazia in Italia e in Europa. Ciò che negli Stati Uniti richiede poche ore, in Italia richiede giorni. Ciò che negli Stati Uniti richiede giorni, in Italia richiede settimane. Ciò che negli Stati Uniti richiede settimane, in Italia richiede quasi un anno. Ciò che negli Stati Uniti richiede mesi, in Italia richiede anni. Questo crea condizioni che rendono estremamente difficile la crescita delle imprese, ed è qualcosa che deve cambiare.

Qualche tempo fa ha detto a politico che il Department of Labor americano era abbastanza inutile: che opinione ha di quanto sta facendo Musk con il Doge? È possibile che un effettivo snellimento della macchina burocratica avvantaggi ancora di più gli Usa? Pensa che il suo modello di contratto sociale ‘regga’ ancora, o che sia diventato ancora più importante?

Alcune delle intenzioni dietro il Doge di Musk sono corrette. Anche se gli Stati Uniti hanno un governo molto più piccolo e molta meno burocrazia rispetto all’Europa, è comunque troppo. L’errore sta nel modo in cui Musk sta affrontando la questione. Non sta tagliando il grasso, sta tagliando muscoli e ossa. C’è una differenza tra intelligenza e saggezza. Elon Musk è molto intelligente, ma non è saggio. Penso che i suoi obiettivi non abbiano nulla a che fare con l’efficienza del governo, ma con la sua dissoluzione. Non sta cercando di riformarlo. Ha un’ideologia radicata in una sorta di libertarismo della Silicon Valley che rifiuta l’esistenza stessa del governo.

Musk ha sempre generato opinioni contrastanti tra gli innovatori: l’impressione, guardando come si sono allineati Bezos e Zuckerberg all’amministrazione Usa,  è che ora in Silicon Valley sia venerato. È questa la situazione? Il tech americano è definitivamente schierato? Lei queste persone le conosce: chi l’ha sorpresa di più?

È difficile rispondere a questa domanda in parole povere. Conosco personalmente ognuna di queste persone. Le ho incontrate e ho trascorso del tempo con ciascuna di loro, e sebbene sarebbe facile metterle tutte nello stesso gruppo, in realtà sono molto diverse tra loro. L’ironia è che la prima volta che ho incontrato Elon Musk è stato nel dicembre del 2008, quando facevo parte del team di transizione presidenziale di Barack Obama durante la crisi finanziaria. Venne nel nostro ufficio a chiedere un salvataggio per Tesla, affinché non fallisse. Ottenne un prestito di 300 milioni di dollari, che poi ha restituito. Credo abbia votato per Obama. Ha votato per Hillary Clinton. Quindi no, il Musk che vediamo oggi è diverso dal Musk di qualche anno fa. Per quanto riguarda l’allineamento della Silicon Valley con Donald Trump, ci sono sicuramente alcune persone più entusiaste di altre. Ma laddove sono uniti, lo sono per paura. Non vogliono far arrabbiare la bestia.

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